Le stradine bianche di Ortigia, propaggine a mare di Siracusa, accolgono la parata festosa e teatrale dei Cantieri meticci di Bologna. «È il festival», dicono i siracusani e intendono Sabir, come fosse stanziale o di casa. In effetti la tre giorni organizzata dall’Arci in corso da giovedì fa tappa solo in questa sua terza edizione nell’antica capitale della Magna Grecia ma qui un evento che ha per sottotitolo «festival diffuso delle culture mediterranee» è già metabolizzato prima ancora di essere pensato, è nelle pietre, nei matrimoni siciliani della cattedrale, tra i banchi del mercato del pesce.

I saloni degli antichi palazzi nobiliari dove si svolgono gli incontri seminariali, i laboratori e la presentazione di rapporti sui migranti e le politiche di rifiuto europee, in un calendario fitto di eventi che spesso sono concomitanti e diffusi per la città, sono sempre stracolmi di gente che prende appunti, che fa domande, e sono soprattutto giovani. Per lo spettacolo messo in scena da Moni Ovadia e da Mario Incudine «Anime migranti» il piccolo teatro liberty comunale ha dovuto riaprire le gallerie per far posto agli ospiti siciliani in abiti eleganti. E si ha alla fine la sensazione che, per usare le parole di Oliviero Forti della Caritas nel dibattito sui corridoi umanitari di ieri mattina, se la Storia sta oggi su un piano inclinato tra politiche di discriminazione e esternalizzazione delle frontiere, a Sabir è stata messa una pietra, un segnale per dire che c’è chi sta facendo tutto quello che può per ribaltare la piega. Il mondo dell’associazionismo sta rafforzando i legami di rete, tra organizzazioni cattoliche e non e tra ong umanitarie di vari paesi d’Europa.

«Bisogna respingere tutti insieme l’attacco che non coinvolge solo le ong che fanno soccorso in mare – dice Filippo Miraglia, vice presidente Arci – ma l’idea stessa della solidarietà. Bisogna rispondere vergognatevi voi, che non salvate le vite, che permettere ai seminatori di odio di invadere gli spazi televisivi del servizio pubblico, che non avete ancora aperto vie legali e sicure per chi scappa da guerre, carestie, dittature». L’esigenza per i protagonisti di questa edizione di Sabir che si inserisce nel culmine della campagna mediatica e politica contro le ong umanitarie dei soccorsi, in mezzo al guado della politica europea tra accordi bilaterali per fermare i flussi e prospettive di restrizioni per l’accesso all’asilo, è quella di rafforzare la cooperazione ma anche di alzare il tiro e la voce. «Per farci sentire anche dagli adolescenti, dai ragazzi, dobbiamo scandalizzare», dice dal pubblico un insegnante della Caritas di Verona.

L’obiettivo è aprire canali sicuri e legali come stanno sperimentando comunità Sant’Egidio, Chiese Valdesi non solo in Italia ma anche in Francia e ora in Spagna, ma anche ristabilire un clima non di odio e razzismo diffuso sui migranti, riformare e estendere in piccole realtà diffuse l’accoglienza, pretendere, infine, un’informazione con un lessico e un approccio più curioso e corretto come dice Carta di Roma.