Siamo rimasti veramente sorpresi nel leggere l’articolo di Andrea Gavosto, direttore della Fondazione Agnelli, pubblicato domenica da «La Repubblica» con il titolo «L’algoritmo contestato e la migrazione inevitabile». Sorpresi perché, conoscendo bene gli scritti di Gavosto, convinto sostenitore della meritocrazia, ci aspettavamo che chiedesse le dimissioni del direttore generale dell’istruzione del Miur (responsabile operativo) e del sottosegretario Faraone (responsabile politico) del pasticcio degli insegnanti del sud comandati al Nord. Perché di pasticcio si tratta, o meglio di pasticciaccio. Si tratta infatti della vita di migliaia di insegnanti, quasi tutti di circa cinquant’anni, con figli e genitori anziani da accudire, che si vedono la vita frantumata da una legge assurda (la 107/2015), approvata con un voto di fiducia in una Roma in stato d’assedio nel luglio dell’anno corso. Certo, come scrive Gavosto, l’algoritmo può fare degli errori (ma l’algoritmo è un prodotto dell’attività umana, non è un evento naturale come un temporale). Ebbene, fin dai tempi di Bertrando Spaventa e del suo fondamentale scritto su «La giustizia nell’amministrazione», come Gavosto sa meglio di noi, gli errori dell’amministrazione pubblica vanno emendati, e i responsabili devono assumersene l’onere, anche in sede civile talvolta. E Gavosto dovrebbe sapere, sicuramente meglio di noi, che la meritocrazia è una spada, e che il liberalismo, di cui la meritocrazia è la versione contemporanea, non contempla l’istituto giudeo-cristiano del perdono.

Allora perché due pesi e due misure? Perché rivendicare l’applicazione rigorosa della meritocrazia per i poveri cristi (gli insegnanti che guadagnano meno di 30 mila euro lordi l’anno) e passare sopra, con un’alzatuccia di spalle, agli errori del Miur e alle aporie di una legge odiosa? Qui il discorso deve farsi, per necessità, ipotetico. Dalla prosa di Gavosto traspare una punto di disprezzo piemontese verso gli insegnanti (meridionali), che ricorda un poco quello degli ufficiali sabaudi verso le plebi del Mezzogiorno dopo l’Unità, ma più in generale verso gli insegnanti in quanto tali, perché il fenomeno degli «esodati» si è avuto anche al Nord, seppur su scala minore. Come le plebi meridionali, anche ora gli insegnanti sono accusati di essere, in ultimo, reazionari e corporativi. Di non riuscire a capire le «magnifiche sorte e progressive» che deriveranno alla scuola e alla società italiana dall’applicazione della legge 107/2015, di cui la Fondazione Giovanni Agnelli è stata tra gli ispiratori. Queste magnifiche sorti non le hanno di sicuro capite coloro (quorum nos) che hanno promosso i referendum abrogativi della 107 e che hanno raccolto a questo fine 530 mila firme, depositate in Cassazione il 7 luglio scorso.

Tuttavia, non possiamo fare a meno di notare che la Fondazione Agnelli, di cui appunto Gavosto è il direttore, svolge nei confronti del Miur lo steso ruolo della Rank Fondation per i repubblicani americani, ovvero cerca di «dare un senso», di costruire una giustificazione, alla politica regressiva nel campo dell’istruzione pubblica e dell’università che è iniziata dal 2008 con la legge Gelmini sulla scuola. È chiaro che non siamo d’accordo con Gavosto e con la Fondazione Agnelli. Ma come insegnano i liberali, si possono avere idee diverse e ci si può stimare reciprocamente lo stesso. Ma gli avversari dovrebbero essere rispettati, non irrisi. Per due motivi, interrelati: perché il rispetto dell’avversario rispecchia in ultimo quello che abbiamo di noi stessi (Kant), e inoltre perché questo rispetto è anch’esso una delle fondamenta del liberalismo (basta ricordare Voltaire). Il disprezzo dell’avversario al contrario è il chiaro sintomo di una cultura tecnocratico-autoritaria, figlia deforme di una tendenza neo-pitagorica alla politica (e ad essere sinceri in questo Gavosto è in qualificatissima compagnia, a cominciare da Renzi). Tendenza politica che ha mirato consapevolmente alla distruzione della scuola della Repubblica come precondizione della svolta autoritaria che si sta cercando di imprimere alla politica italiana. Ed è questa tendenza che dobbiamo, vogliamo e possiamo sconfiggere.

*Comitato Scuola e Costituzione, Bologna