La prossima puntata del Matteo Renzi show per reclamizzare il suo Job Act di impianto ottocentesco andrà in scena domani a Milano, davanti ai capi di stato europei riuniti al Conference Centre di Fieramilanocity. Sono fuori dal mondo reale ma si applaudiranno a vicenda promettendosi di demolire ciò che resta dei diritti dei lavoratori. In strada, spiati a vista dai poliziotti 2.0 con telecamera incorporata, ci saranno gli operai della Fiom in sciopero accompagnati da chi si è stufato di restare a guardare (piazzale Lotto alle 9,30, con intervento finale di Maurizio Landini). “Questo sciopero è un azzardo, ma non potevamo perdere un’occasione simile”, dice Marcello Scipioni, segretario generale della Fiom Milano.

Azzardo in che senso?

Si tratta del primo sciopero generale territoriale in Italia in un momento molto difficile. Gli operai oggi non stanno con Renzi ma scioperare fa paura, le aziende continuano a licenziare, la cassa integrazione aumenta. La tragedia occupazionale è storia di ogni giorno, la scorsa settimana 115 operai della Nokia di Cassina de’Pecchi sono stati licenziati con una mail. Tuttavia pensiamo che questa data sia importante, il disastro che si sta abbattendo sull’Italia non può essere compreso se si prescinde dalle dinamiche europee. Forse senza questo vertice non avremmo puntato su questa data, ma adesso penso che sia quasi una tappa obbligata anche perché i tempi di attuazione del Job Act si annunciano così veloci che la manifestazione del 25 ottobre potrebbe svolgersi a giochi fatti.

Visto il clima, che partecipazione vi aspettate?

Ci saremmo aspettati più coinvolgimento da parte della Cgil ma comunque da settimane stiamo lavorando per allargare la partecipazione. Non manifestiamo solo contro il Job Act, chiediamo anche il rilancio dell’industria e degli investimenti, e la generalizzazione del reddito anche per i precari. Vogliamo la redistribuzione della ricchezza. Ci aspettiamo molti metalmeccanici in piazza, ma anche soggetti ai margini del mondo del lavoro.

I precari, la ferita aperta. Renzi è un baro e gioca sporco ma il suo messaggio sui precari vittime dei garantiti fa breccia. Forse non sarebbe il caso di alzare il tiro e di pretendere più diritti per tutti? Di mettersi in gioco direttamente per restare meno soli in piazza?

La Fiom, a differenza degli altri sindacati, è dal 2003 che in ogni piattaforma rivendicativa ha inserito l’obbligo di puntare alla stabilizzazione dei precari, e infatti ne abbiamo regolarizzati migliaia. Io credo che sia una impresa ancora alla nostra portata, il sindacato storicamente ha sempre usato la propria forza per estendere i diritti anche agli altri.

Forse il problema più che sindacale è politico. Chi sta veramente con i precari? Senza risolvere questo nodo, forse la battaglia è persa.

Sì, è vero. C’è una contraddizione: noi ci siamo resi conto da tempo – vedi l’esperienza della May Day – che questo è il problema eppure, pur parlando a tutti, possiamo agire solo nel nostro settore. In assenza di un soggetto politico o collettivo forte i nostri confini restano limitati ed è difficile allargare la platea di quelli disposti a mettersi in gioco. Ma credo che prima o poi verrà affrontato il nodo di un soggetto politico che ancora non esiste, è in atto la cancellazione di qualunque azione collettiva per tutti, operai, precari, studenti. Non si può fare altrimenti. Siamo sotto un attacco incredibile. Siamo arrivati al punto che anche il sindaco Giuliano Pisapia si scaglia gratuitamente contro il sindacato, in un momento così delicato.

Appunto, di fronte a questo attacco generalizzato forse non basta puntare solo sulla difesa di una norma (art.18), ancorché sacrosanta.

Da anni la Fiom cerca di guardare oltre e di puntare all’allargamento dei diritti. All’ultimo congresso abbiamo anche ragionato sull’idea di un reddito slegato alla prestazione lavorativa. Lo abbiamo chiamato reddito di resistenza, dovrebbe essere un sussidio per chi ha perso il lavoro ma anche per chi un lavoro lo sta semplicemente cercando. E’ un’idea in fase ancora embrionale ma stiamo approfondendo la sua sostenibilità. Magari, se il governo si decidesse ad ascoltarci, potremmo anche illustrargliela.