C’è una domanda che da 25 anni gira nella testa di Alfredo Morvillo e per la quale lui attende ancora una risposta. «C’erano tante persone che non amavano Giovanni Falcone, e a queste vorrei chiedere il perché, non so darmi una spiegazione», dice il fratello di Francesca Morvillo, magistrato e moglie del giudice siciliano. Magistrato lui stesso, Morvillo non si riferisce agli uomini di Cosa nostra – per i quali Falcone era un pericoloso nemico – bensì a chi, dentro le istituzioni, anziché sostenerlo ha preferito lanciare «siluri» contro di lui.

Alfredo Morvillo parla durante la seduta straordinaria con cui il Consiglio superiore della magistratura ha voluto ricordare ieri la strage in cui il 23 maggio del 1992 persero la vita con Giovanni Falcone e Francesca Morvillo anche tre agenti della scorta, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro e Vito Schifani. «Falcone è stato molto amato, soprattutto dopo la sua morte – prosegue -. Purtroppo prima non possiamo dire che sia stato così. Sarei felice se una di queste persone che non lo hanno amato avesse il coraggio di dire di aver fatto su di lui valutazioni errate che gli procurarono sofferenze. In 25 anni non è accaduto, ma se avvenisse, solo allora potremmo riabbracciarci tutti insieme nel nome di Falcone».

In attesa di una riconciliazione che appare difficile, un passo è stato comunque fatto. Piccolo se si vuole, ma significativo. A distanza di 25 anni i protagonisti di quella stagione di lotta alla mafia si ritrovano nella stessa sala. Rappresentanti delle istituzioni e familiari delle vittime, con in mezzo il presidente della Repubblica Sergio Mattarella nel suo duplice ruolo di presidente del Csm e di fratello di Piersanti Mattarella, il presidente della regione Sicilia assassinato a Palermo dalla mafia il 6 gennaio 1980. Una celebrazione non rituale e resa più importante dalla pubblicazione di tutti gli atti del fascicolo personale di Falcone dai quali, oltre alla sua vita professionale, è possibile ricostruire anche i momenti più difficili e complessi del suo rapporto con il Csm.

Tocca proprio al capo dello Stato ricordare per primo la figura di Giovanni Falcone sottolineando come per lui la mafia non fosse affatto invincibile. Piuttosto, sottolinea Mattarella, «un fenomeno terribilmente serio e grave che si può vincere non pretendendo l’eroismo dei cittadini, ma impegnando tutte le forze migliori della società». Ad ascoltare le parole del capo dello Stato c’è quella generazione di magistrati che con Falcone ha stravolto il modo di indagare sulle cosche rendendo più incisiva l’azione dello Stato. C’è il presidente del Senato Pietro Grasso a cui spettò il compito di indagare sugli assassini di Piersanti Mattarella. Ci sono Giuseppe Ayala e Giuseppe Di Lello, due tra i componenti del primo pool antimafia. E poi il giudice a cui spettò presiedere il maxiprocesso, Alfonso Giordano.

«Falcone fu il protagonista della più feconda e proficua stagione della lotta alla mafia», dice il vicepresidente del Csm Giovanni Legnini, ricordando però anche come i rapporti tra il giudice e il Csm rappresentino «alcune delle pagine più sofferte della storia dell’ordine giudiziario italiano». Un esempio fu la scelta di bocciare la candidatura di Falcone a capo dell’ufficio istruzione di Palermo. «Da quella decisione Giovanni cominciò a morire», ha ricordato ieri Maria Falcone, sorella del giudice. «Ricordo ancora lo scoramento di Giovanni, ricordo la sofferenza sua e di noi familiari. Eppure Giovanni veniva in quest’aula come vincitore: aveva portato allo Stato italiano la prima grande vittoria contro la mafia».

Morvillo elenca i «siluri» che Falcone ha dovuto fronteggiare mentre combatteva le cosche: «La lettera che lo accusava di essere il mandante dell’omicidio di Salvatore Contorno», ma anche il sospetto che si fosse organizzato da solo l’attentato all’Addaura per «impietosire il Csm» e – quando l’allora ministro della Giustizia Claudio Martelli lo chiamò a Roma a dirigere il Dipartimento Affari penali, l’accusa di essersi «venduto alla politica». Infine la mancata nomina a procuratore nazionale antimafia dopo il voto della commissione del Csm. «Tanti di questi fatti vengono da persone ben precise, note a tutti» conclude Morvillo invitando ancora una volta chi deve a farsi avanti.