Regina Liotta Catrambone ha un leggero accento calabrese solo quando parla italiano, come ieri al festival Sabir in corso a Siracusa, e non le succede spesso, perché a bordo della nave di soccorso Phoenix e nelle operazioni di salvataggio dell’ong che ha fondato e dirige insieme al marito Christopher e alla figlia – il Moas, acronimo di Migrant offshore Aid Station, con base a Malta – si parla solo inglese. «Recentemente ci siamo registrati come onlus anche in Italia e faremo altrettanto anche in Germania, da dove vengono adesso una parte delle donazioni, ma la prima missione era interamente finanziata da me e da mio marito, poi quando abbiamo avviato la piattaforma per la raccolta fondi abbiamo creato una fondazione maltese. Ma Soros purtroppo non ci finanzia, magari..», chiarisce per rispondere a parte delle accuse di scarsa trasparenza che le sono piovute addosso da un mese a questa parte.

Perché il Moas è stato preso di mira dai giornali italiani?
Sinceramente non mi spiego perché hanno gettato tanto fango su di noi, forse perché siamo stati i primi a dar vita a una ong per soccorrere i migranti. Tutto è partito nell’estate del 2013, io e mio marito tornavamo da una vacanza a Lampedusa e dovendo andare in Tunisia per lavoro prendemmo la rotta breve e ad un certo punto ci imbattemmo in una giacca, un naufrago che non ce l’aveva fatta. A ottobre ci fu la tragedia dei 368 migranti morti al largo di Lampedusa e papa Francesco disse che non dovevamo assuefarci alla globalizzazione dell’indifferenza, aggiunse che dovevamo usare le nostre risorse, anche i nostri denari per dare un aiuto e noi rispondemmo a quell’appello. I nostri tre passi sono: cuore, mente e portafoglio e noi li abbiamo tutti e tre, ma non per andare contro le istituzioni, al contrario, per dare una mano, con uno spirito di cooperazione. E pensare che solo un anno fa il presidente della Repubblica Sergio Mattarella mi ha premiato con una medaglia…”.

Su di voi è stato detto che usate contractor, che avete personale militare e addirittura un socio che aveva una azienda di coltelli paramilitari…
Sono fake news. Contractor in inglese non significa mercenari ma lavoratori a progetto, abbiamo solo personale specializzato in ricerca e soccorso. Abbiamo un ex ufficiale dell’esercito maltese ma è in pensione così come abbiamo due ammiragli in pensione della Marina militare italiana, uno a terra e l’altro in mare. Robert Pelton non è mai stato nostro socio, era un consulente per la raccolta fondi negli Stati uniti e lo avevamo ingaggiato per le sue competenze giornalistiche per i rapporti con i media ma il suo contratto non è stato rinnovato.

Forse a spaventare i magistrati è il fatto che siete gli unici a utilizzare droni per la ricerca dei naufraghi.
Utilizzavamo due droni, alternandoli, ma presi a noleggio, ora abbiamo solo un aereo con pilota, noleggiato a pacchetto-ore. Ma i droni non sono strumenti di guerra, è una tecnologia che serve a scopi civili. A volte in mare le mappe satellitari non bastano a individuare i gommoni e i naufraghi.

Il procuratore Zuccaro oggi riconosce che tramite i vostri filmati è stato individuato lo scafista libico che ha ucciso il ragazzo della Sierra Leone che non gli aveva dato il suo cappellino. Zuccaro dice che è stata la vostra prima collaborazione.
Tutte le volte che ci hanno chiesto le immagini per le indagini le abbiamo date, se a volte non le hanno chieste questo è un loro problema o una loro scelta. Anche in questo caso avevamo chiesto riservatezza a chi indaga, per evitare strumentalizzazioni, invece…