Otto ore di sciopero e quattro piazze (Milano, Roma, Napoli e Palermo) occupate ieri dagli edili come risposta ad Ance (l’associazione dei costruttori) e Coop: le due organizzazioni avevano fatto saltare a novembre il tavolo, dopo 11 mesi di discussione, per riportare il contratto di categoria, scaduto da un anno, indietro di decenni. Le sigle imprenditoriali hanno proposto una piattaforma con zero euro di aumento in busta paga e l’eliminazione dell’Ape, l’indennità di anzianità che corrisponde a circa uno stipendio. Una proposta giudicata dai confederali «provocatoria e indecente». Bersaglio delle manifestazioni indette da Cigil, Cisl e Uil anche il governo, che non ha fatto nulla per rilanciare il settore.
A Milano, davanti ai cantieri Expo, circa 4mila lavoratori delle regioni del nord: oltre 70mila iscritti alla cassa edile della sola Lombardia hanno perso il lavoro, nell’edilizia residenziale l’invenduto ha raggiunto il 40%. Quattromila anche a Roma dove si sono riuniti gli operai delle regioni centrali (sul palco anche Susanna Camusso). A Napoli la manifestazione più numerosa, con un corteo di oltre 5mila persone dal sud. Tremila a Palermo, più 10mila precari degli enti locali siciliani. Le cifre raccolgono solo i dati delle realtà maggiori: molti impegnati in piccoli cantieri sfuggono al conto. Così a Napoli si sono fermati i lavori della Metropolitana e dell’ospedale del Mare, a Milano si è bloccata l’Expo grazie anche all’adesione dei subappaltatori; a Bologna ferma al 70% la Coop Costruttori, a Rimini stop totale delle aziende Ance. A Torino paralizzati il Cantiere Chiomonte e il grattacielo della regione.
«La crisi è diventata il pretesto per un attacco al contratto nazionale come elemento solidale di regolazione del mercato e delle condizioni del lavoro – ha spiegato Walter Schiavella, segretario generale della Fillea Cgil, dal palco di Roma -. Occorreva il coraggio di un cambiamento radicale dopo il dramma dell’Aquila. Dopo le iene della cricca, indicammo negli obiettivi di qualità, legalità e sostenibilità i cardini di un nuovo modello di sviluppo. Quegli obiettivi sono rimasti nel libro dei sogni». Secondo il sindacato, i governi hanno accettato lo scambio con le imprese tra zero investimenti e zero regole, fino ad arrivare alla proposta fatta da Ance e Coop: sostanzialmente una redistribuzione di risorse dal lavoro all’impresa, accompagnata dall’aumento della precarietà con «il part time al 50%, il lavoro a chiamata, quello intermittente, l’allentamento della responsabilità solidale. Un tentativo – conclude Schiavella – di abbassare ancor di più l’asticella delle regole in un settore dove si licenzia a fine cantiere e la dimensione di impresa rende di fatto inapplicabile l’articolo 18, dove la precarietà è insita nella stessa organizzazione produttiva e la catena dei subappalti destruttura imprese e ciclo produttivo».
Dal 2008 a oggi si sono persi 700mila posti di lavoro; la produzione è diminuita del 40% (pari a 80 miliardi) e nel 2013 dovrebbe calare ancora del 4. Su 120 casse edili, si stima negli ultimi 5 anni un calo di 600milioni di ore lavorate, 55mila imprese sono sparite, la massa salari si è contratta di 3,2 miliardi. «Al sud i numeri sono peggiori – spiega Giovanni Sannino, segretario regionale della Fillea campana -. Le ore lavorate nel 2012 sono calate, rispetto al 2011, al sud del 23%, al nord del 18. Quest’anno in Campania si perderanno 200milioni di massa salari. Il divario cresce ancora. Stanno sparendo soprattutto le imprese in regola, lasciando sul mercato quelle che applicano il lavoro nero e grigio».