Una tre giorni di trattativa per arrivare finalmente al rinnovo del contratto dei metalmeccanici. Da martedì prossimo calendario stringente per Federmeccanica e Fim Fiom e Uil: il 2, 3 e 4 febbraio, infatti, le parti torneranno ad incontrarsi – in presenza nelle sede romana di Confindustria a viale dell’Astronomia – nel tentativo di una stretta finale verso l’accordo.

IL NEGOZIATO VA AVANTI da oltre un anno, sbloccato dal successo dello sciopero generale unitario di quattro ore del 5 novembre.
Lo scontro è soprattutto sulla richiesta di aumento salariale che i sindacati hanno quantificato nella piattaforma ad avvio trattativa in 153 euro mese mentre dopo molti tentennamenti Federmeccanica a dicembre ha formalizzato una proposta di un aumento in busta paga di 65 euro al mese che entrerà però a regime lungo un arco di 3 anni e un pacchetto di flexible benefit che arriva a 750 euro nel triennio 2021-2023.

Diversamente dallo scorso rinnovo però questa volta Fim, Fiom e Uilm puntano ad un aumenti salariali diretti e non surrogati dal welfare aziendale.

E QUI STA PROPRIO LO SCONTRO, specie fra Fiom e Federmeccanica. «La soluzione di Federmeccanica di 65 euro al mese in tre anni, di cui solo una parte sui minimi, non è accettabile e le imprese lo sanno bene – spiega la segretaria generale della Fiom Francesca Re David – ma c’è comunque una disponibilità in generale a trattare da parte di Federmeccanica. Da parte nostra l’aumento salariale non può che essere sui minimi, volutamente non abbiamo messo altre partite nel contratto, nessun altro costo contrattuale, proprio per concentrarci sui minimi quasi fermi ormai da molto tempo. E a noi questo interessa. Poi se ci saranno aumenti nel pacchetto dei flexible benefit lo dobbiamo allo scorso contratto ma il punto dirimente sono e restano i minimi. Gli aumenti cioè devono modificare la paga oraria», ribadisce Re David.

Rimane comunque il fatto positivo della tre giorni di trattativa per chiudere. «Una trattativa è sempre difficile, questa in particolare, perché è non solo è dentro una pandemia ma adesso anche nel cuore di una crisi di governo. Per questo, a maggior ragione, se riuscissimo appunto a trovare un punto di incontro sarebbe un segnale importante in una situazione di così forte instabilità», prosegue Re David.

IL COMPROMESSO POSSIBILE sul salario andrà trovato, di certo Fim, Fiom e Uilm puntano ad arrivare oltre i 100 euro, magari con flessibilità sui tempi degli scaglioni di aumento.

«È difficile dirlo prima di una tre giorni di trattativa così intensa ma di sicuro non quei 65 euro – sottolinea Re David – non c’è possibilità di scambio con altro, né con l’orario né con i diritti: gli scambi sono finiti tanti anni fa, c’è poco da scambiare ormai», ammonisce.

LUNEDÌ INVECE È ARRIVATA la firma definitiva sul contratto dell’industria alimentare che sancisce la definitiva sconfitta della posizione di Carlo Bonomi. Appena eletto, il presidente di Confindustria aveva tuonato contro l’aumento salariale di quel contratto – 119 euro – considerato troppo alto. Il suo tentativo di far ritirare le firme alle grandi imprese è fallito e oltre alle undici organizzazioni datoriali firmatarie, lunedì la firma definitiva ha visto anche la nuova adesione di Unionzucchero. Insomma, la povera Federalimentare (e Bonomi) sono rimasti soli.