Il governo intende procedere sulla riforma della rappresentanza e della contrattazione – incluse nuove regole sugli scioperi – ma le proposte in ballo continuano a suscitare polemiche. Ieri in una intervista al manifesto il segretario generale della Uil Carmelo Barbagallo ha spiegato di essere contro l’azzeramento del contratto nazionale e la limitazione del diritto di sciopero, specie nel settore privato, e ugualmente contrari al superamento del primo livello di contrattazione si sono detti sia il vicepresidente di Confindustria Stefano Dolcetta che il segretario generale della Fiom, Maurizio Landini.

«Gli imprenditori sono contrari ad abolire il contratto nazionale», ha spiegato Dolcetta a Repubblica, definendo la proposta Ichino su questo tema «un po’ hard»: «Molta parte delle 154 mila imprese a noi associate – ha detto il numero due di Confindustria – non hanno la dimensione per reggere una contrattazione aziendale. Semmai pensiamo sia meglio rendere i contratti nazionali derogabili a livello aziendale».

Va detto, o meglio, andrebbe ricordato, che la possibilità di derogare i contratti nazionali (e perfino le leggi) esiste già, grazie al (famigerato, almeno a sinistra) articolo 8 varato dall’allora ministro del Lavoro Sacconi, nel 2010. Articolo 8 che, contrariamente alle posizioni espresse da Confindustria, ieri il Pd Cesare Damiano, presidente della Commissione Lavoro della Camera, ha invece detto che bisognerebbe abolire: «L’equilibrio a vantaggio dei contratti decentrati – sostiene – va compensato cancellando la derogabilità del contratto nazionale introdotta dal centrodestra: correzione necessaria per impedire pratiche di dumping sociale nelle singole aziende, fonte di gravi diseguaglianze e di concorrenza sleale tra le imprese».

Quanto alla rappresentanza, per il vicepresidente di Confidustria Dolcetta «sarebbe meglio trovare un accordo tra le parti», ma in mancanza di questo, «è auspicabile che il governo traduca in legge l’accordo che avevamo già firmato con Cgil, Cisl e Uil». Accordo, il Testo unico sulla rappresentanza siglato nel gennaio 2014, citato come punto di partenza anche da Damiano, come anche, ovviamente, dai firmatari Cgil, Cisl e Uil.

Maurizio Landini e la Fiom, contrari agli esiti del Testo Unico, al contrario vorrebbero una legge: che disponesse che su piattaforme e accordi «siano chiamati a votare, con un referendum, tutti i lavoratori, precari inclusi».

Landini si dice contrario al superamento del contratto nazionale, e cita l’esempio Fiat, dove in forza del contratto aziendale (che ha sostituito quello nazionale, come da proposta Ichino), «i minimi contrattuali sono 76 euro al mese più bassi del nazionale». Ed è favorevole alla semplificazione: «Gli attuali 400 contratti possono essere ridotti a una decina. No, infine, alla limitazione del diritto di sciopero: «È un diritto individuale garantito».an. sci.