Un «salto di qualità». Così l’allora presidente del Consiglio, Mario Monti, nell’aprile 2012 definì l’accordo per la vendita a Israele di «velivoli d’addestramento» prodotti dalla Alenia-Aermacchi. Per vent’anni i governi italiani, pur mantenendo buoni rapporti diplomatici e commerciali con Tel Aviv, avevano messo in pratica una politica restrittiva sulle forniture militari allo Stato di Israele: le autorizzazioni all’esportazione rilasciate tra il 1990 al 2011 non superavano qualche decina di migliaia di euro all’anno.

Questa politica, rispettosa dei divieti previsti dalle nostre leggi, è stata stravolta proprio quando l’esecutivo Monti, a seguito degli accordi presi dal precedente governo Berlusconi, concluse il contratto per la vendita a Israele dei 30 velivoli M-346 predisposti nella versione da combattimento multi-ruolo «fighter attack» e relativi simulatori. Sono gli aerei e i simulatori su cui si sono esercitati i piloti dei caccia F-35 che in questi giorni stanno bombardando Gaza.

Un affare a di cui ha beneficiato l’azienda del gruppo Finmeccanica (oggi Leonardo), mentre i contribuenti italiani hanno pagato il corrispettivo, per oltre 850 milioni di euro, di tecnologia aerospaziale acquistata da Israele, tra cui un satellite spia e due aerei Gulfstream G550 «per la sorveglianza e la supremazia aerea» a supporto alle forze di terra e navali.

Negli anni successivi le forniture di sistemi militari dall’Italia a Israele sono aumentate, ma non hanno segnato valori rilevanti fino al febbraio 2019 quando i ministeri della Difesa dei due Paesi hanno firmato un accordo per l’acquisto di sette di elicotteri AW119Kx d’addestramento avanzato per le forze aeree israeliane, del valore di 350 milioni di dollari, ancora una volta in cambio dell’acquisto da parte dell’Italia di un valore equivalente di tecnologia militare israeliana.

Nel settembre del 2020 ne sono stati aggiunti altri cinque, per un totale di dodici elicotteri e due simulatori destinati alla Air Force Flight School.

Nell’ultimo quinquennio (2016-2020) l’Italia ha autorizzato esportazioni militari a Israele per un valore di oltre 90 milioni di euro che comprendono tutto l’arsenale bellico: armi semiautomatiche, bombe e missili, strumenti per la direzione del tiro e apparecchi per l’addestramento e la simulazione di scenari militari; nel contempo abbiamo acquistato da Israele armamenti per circa 150 milioni di euro.

Il giro d’affari non è sfuggito alle tre riviste promotrici della Campagna di pressione alle «banche armate» (Missione Oggi, Mosaico di Pace e Nigrizia) che, insieme a Pax Christi, hanno chiesto al governo italiano di «sospendere immediatamente tutte forniture di armamenti a Israele e di revocare tutte le licenze per armi in corso».

«Il nostro Paese – si legge nel comunicato – se non vuole continuare a essere complice delle violenze e della sopraffazione da parte di Israele nei confronti del popolo palestinese, deve anzitutto mettere in pratica il principio sancito dall’articolo 11 della nostra Costituzione e ribadito nella legge n. 185/90 che vieta esplicitamente l’esportazione di sistemi militari verso i Paesi in stato di conflitto armato».

La Campagna «banche armate» ha inoltre invitato associazioni e correntisti a interpellare la propria banca riguardo all’eventuale coinvolgimento dell’istituto di credito nelle forniture di armi e sistemi militari a Israele.