«Come sempre aspettiamo e vediamo. Quello che è sicuro è che se si crea un vuoto prima o poi arriva qualcuno che lo riempie. Ecco, bisognerà vedere chi è questo qualcuno e cosa farà». Nell’ex aeroporto romano di Centocelle, quartiere generale della missione europea Sophia, si usa come al solito molta prudenza nel parlare. Il che non significa che l’attenzione per quanto potrebbe accadere nei prossimi giorni non sia alta. Per la missione avviata nel 2015 e guidata da allora dall’ammiraglio Enrico Credendino, è infatti cominciato il conto ala rovescia. Il 31 marzo scadono i tre mesi di proroga del mandato, ma nessuno finora ha trovato una soluzione per permettere a Sophia di proseguire il suo lavoro anche nel 2019. «L’ultima parola spetta all’Italia», fanno sapere da Bruxelles, dove però va detto che finora non sembra ci siano stati sforzi particolari nella ricerca di una possibile alternativa alla fine della missione europea. Non da parte dei ministri degli Esteri dei 28, che lunedì si sono visti senza trovare un compromesso.

Nulla anche da parte del Cops, il Comitato politico e sicurezza dal quale Sophia dipende. E tutto fa pensare che sarà così anche nel Consiglio europeo che si apre oggi, dove non solo per la prima volta da anni il tema immigrazione non figura all’ordine del giorno, ma i leader europei arrivano ancora una volta divisi su una questione sulla quale si dovrebbero invece concentrare gli sforzi di tutti: trovare un meccanismo che consenta la gestione comune dei migranti tratti in salvo nel Mediterraneo dalle navi europee (più di 50 mila in quattro anni).

Un punto sul quale il governo gialloverde di Roma batte fin dal primo giorno del suo insediamento chiedendo di cambiare le regole della missione che prevedono lo sbarco nei porti italiani dei naufraghi. Un’eredità della passata missione Triton che un anno di trattative – rese più difficili dai continui quanto inutili ultimatum del ministro degli Interni Matteo Salvini – non è riuscito a scalfire. Unico risultato utile è stata appunto la proroga di tre mesi che ha fatto slittare il definitivo stop della missione dallo scorso mese di dicembre a oggi. Appare quindi difficile che con l’approssimarsi delle elezioni europee le cose possano cambiare proprio ora.

Un’ulteriore proroga «è una delle possibilità» sul tavolo, ha detto il ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi al termine del consiglio Affari esteri di lunedì, ma il suo è sembrato più uno sfoggio di ottimismo che una reale possibilità. Più probabile sembra essere una graduale riduzione dei mezzi oggi impegnati nella missione, lasciando a terra le navi e utilizzando solo i quattro aerei e il drone a disposizione. «In fondo già oggi gli aerei hanno un ruolo importante nell’avvistamento dei barconi di migranti in difficoltà», fanno notare al quartiere generale di Sophia. Ma è chiaro che una simile ipotesi oltre a cambiare la natura della missione (le navi sono impegnate anche nel controllo dell’embargo di armi alla Libia e nel contrasto al contrabbando di idrocarburi), farebbe diminuire il prestigio dell’Italia. Infine l’ipotesi peggiore, vale adire la chiusura della missione.

Tutto questo mentre in Italia il governo gialloverde apre un altro scontro con una ong, questa volta con la nave Mare Jonio della piattaforma Mediterranea colpevole di aver salvato 49 migranti. Una situazione già vista in Europa con i casi Sea Watch, Sos Mediterranee, Open Arms nei quali la linea dura imposta dal Viminale ha finito col rendere sempre più difficili i rapporti con gli Stati partner, al punto che a dicembre la Germania ha annunciato il ritiro dalla missione europea. E che adesso potrebbe confinare l’Italia in un isolamento che rischia di tagliarla fuori anche dall’area Schengen.