Per sgomberare il centro sociale Corto Circuito, luogo storico dei movimenti romani, hanno isolato un quartiere popolosissimo, coi piantoni dei vigili urbani ad ogni angolo di strada, e hanno fatto irruzione nei locali che ospitano una trattoria popolare e che sono sede di attività sportive e culturali. Quello che oggi chiamano «abuso» è un padiglione costruito con tecniche di bioedilizia che avrebbe dovuto rimpiazzare una vecchia ala del centro sociale, che prese le fiamme per un guasto elettrico ormai quattro anni fa. Siamo al Lamaro, periferia sudest di Roma. Subito, fin dalla mattina, un presidio di solidarietà agli sgomberati si apposta nelle vicinanze del centro sociale. «C’è stato un tempo in cui i quartieri prendevano il nome dai palazzinari che li costruivano, questa è la storia di Roma», dice Nunzio D’Erme, occupante del Corto Circuito che ha vissuto tutti i 26 anni di storia di questo posto, per spiegare il Lamaro e il contesto in cui si è sviluppata la storia di questo posto. Che è cominciata dall’uscita del riflusso degli anni Ottanta. Poi la rincorsa degli anni novanta fino a Genova. È qui che nacquero le tute bianche ed è questo luogo che Naomi Klein descrisse in un reportage per spiegare cosa si stava muovendo contro il G8 del 2001. Ed è qui che le nuove generazioni hanno proseguito in questi anni.

È una vicenda che ha caratteristiche particolari per la storia di una vertenza legata ai sigilli apposti dalla magistratura e a impietose procedure d’ufficio che insospettiscono per la solerzia. E ha caratteristiche generali perché il «sequestro dell’area» di ieri si inscrive in un attacco più generale agli spazi sociali della Capitale che, secondo una linea decisa dall’amministrazione Marino e ribadita con decisione dal commissario Tronca, vorrebbe che tutti gli spazi comunali, proprio quello che avevano strappato un riconoscimento, vengano rimessi a bando, pagare un canone e rispettare logiche «di mercato». Il sequestro del Corto Circuito arriva per decisione della magistratura. La giunta Raggi, formalmente, non c’entra. Si avverte tuttavia l’assenza di indirizzo politico e di mediazione che la sindaca aveva in parte annunciato in campagna elettorale e ribadito da un ordine del giorno votato in consiglio comunale che cozza con le tentazioni securitarie di certo grillismo.

«La nuova amministrazione dispone degli strumenti per fermare questa oscenità – spiegano quelli del Corto Circuito – Innanzitutto far sentire il suo ruolo di proprietario dell’area e degli stabili. E poi superare definitivamente il contenzioso con la Corte dei conti che riguarda centinaia di realtà di Roma e che solo atti politici dovuti da parte della nuova giunta possono risolvere». Dal Campidoglio parla il consigliere grillino Pietro Calabrese: «Si tratta di un intervento per cui c’è un’ordinanza da tempo a seguito delle segnalazioni di cittadini – dice – Abbiamo ricevuto soltanto stanotte l’ordinanza e ci avevano assicurato che non c’era sgombero e che eliminato il pericolo di sicurezza si sarebbe permesso agli occupanti di rientrare». Gli fa eco il presidente del municipio di Cinecittà: «Né il Municipio né il Comune sono stati messi al corrente di tale operazione, perché non di competenza di questa amministrazione».Gli altri spazi, riuniti nel cartello Roma Comune, parlano di «una città in cui il commissariamento sembra non esaurirsi mai» e chiedono alla sindaca Raggi «di prendere posizione netta a difesa del Corto Circuito e di tutti gli spazi di partecipazione e autogestione a rischio sgombero».

In serata, un grande corteo ha attraversato le strade del quartiere e poi è arrivato dentro il recinto del centro sociale, nel giardino intitolato a Stefano Cucchi. Qui si discutono gli ultimi sviluppi della vicenda, che vincolano l’esito di questa storia alle decisioni dell’amministrazione comunale. Il Comune è stato nominato custode giudiziario di questo posto» spiegano gli occupanti. Adesso ci sono quindici giorni di tempo per decidere se sanare gli «abusi» – che altro non sono che esperimenti di autorecupero – e restituire l’area a chi l’ha prima strappata all’abbandono e poi fatta vivere, oppure lasciare che l’autorità giudiziaria proceda alla demolizione. «Adesso è il Campidoglio che deve esprimersi – avverte Federico Mariani, un altro occupante – Non si sfugge a questa situazione».