Centoventi flash mob, auto-organizzati e convocati a sorpresa giovedì sera in tutto il paese hanno dimostrato l’ampiezza del dissenso contro il Ddl Scuola di Renzi e del Pd. Le straordinarie immagini, comunicate a mezza sera su twitter, whatsapp e facebook delle migliaia di docenti e genitori, cinquemila, diecimila lumini alzati sul cielo al tramonto sulla scalinata di piazza di Spagna a Roma non sono solo una memorabile foto-ricordo.

Rappresentano la commovente ampiezza dell’opposizione al preside-manager partorito dalla fervida immaginazione dei burocrati e dei pedagogiti neoliberali che si passano il testimone tra il Miur a Viale Trastevere e il Nazareno del Pd. Un’ondata improvvisa, troppo a lungo imprigionata dagli storici ritardi sindacali o dal moderatismo imposto dalla presenza elettorale del Pd nella scuola. Oggi dimostra come la società italiana sia viva, autonoma, critica rispetto al nuovo sacrificio imposto alla scuola.

La conferma è arrivata ieri dalla Festa dell’Unità di Bologna dove la ministra dell’Istruzione Giannini è stata duramente contestata da precari, studenti e docenti. Venti minuti ininterrotti di slogan, fischietti, pentole battute ossessivamente per esprimere la netta contrarietà ad un provvedimento incostituzionale. La scena è inedita, almeno negli ultimi anni. La prorompenza della contestazione attesta che il clima nella scuola è nettamente cambiato, dopo mesi di stanca ripetizione dei vuoti slogan renziani. Il 5 maggio, giorno dello sciopero dei sindacati maggiori della scuola, l’astensione del lavoro si annuncia massiccia. Come le manifestazioni che si terranno in tutto il paese. I sintomi ci sono tutti.

Ieri mattina, alla basilica Santa Maria degli Angeli in piazza della Repubblica a Roma, molti docenti e precari della scuola parlavano ancora dei flashmob visti sui social network, o partecipati di persona. E del loro messaggio inequivocabile. Sono arrivati in diecimila da tutto il paese, aderendo al riuscito sciopero generale indetto da Usb, Anief, Unicobas. Hanno sfilato fino a Ss. Apostoli, la piazza meno visibile della capitale dove ormai sono convogliate le manifestazioni. Nel giorno in cui, finalmente, sono stati chiusi i termini per la presentazione degli emendamenti alla contestatissima «Buona Scuola» (2400), i sindacati di base, o «alternativi», hanno criticato le posizioni dei sindacati «maggiori».

La polemica rientra la tradizionale contrapposizione tra le parti, ma evidenzia anche un problema politico. È prevedibile, infatti, che gli emendamenti saranno usati da Renzi per dividere il fronte sindacale che si è ritrovato unito per la prima volta dal 2008. Un rischio denunciato dai Cobas di Piero Bernocchi che manifesteranno il 5 maggio, ma su una piattaforma diversa rispetto a quella dei sindacati maggiori. Lo sciopero è «una decisione presa a sostegno delle richieste di modifica al Ddl» si è letto nella convocazione di questi ultimi. Una volta ottenute, si rinuncia allo sciopero? Questo è il rischio avanzato ieri dai sindacati di base che invece chiedono il ritiro di un Ddl «inemendabile», anche per la presenza delle 13 deleghe che il governo terrà per sé. In ogni caso il governo è intenzionato a proseguire fino in fondo sulla sua strada.

«Gli emendamenti richiesti sono poco credibili, e irrilevanti, i ritocchi proposti dalla masueta minoranza interna al Pd- afferma Francesco Bonfini dell’Usb Scuola – Abbiamo già assistito a questo teatrino durante l’iter parlamentare del Jobs Act».Stefano D’Errico, segretario Unicobas, definisce il Ddl «inemendabile e irricevibile» e spiega quali potrebbero essere le conseguenze dell’istituzione del «dirigente-padrone che valuta e retribuisce discrezionalmente i docenti – sostiene D’Errico – Incarica i suoi “preferiti” destinando gli altri a restare senza titolarità, al tappabuchismo e alle supplenze». Nel pomeriggio lo sciopero contro la «scuola geneticamente modificata» di Renzi è continuato con un presidio a Montecitorio. «La riforma va ritirata e riscritta – ha detto Marcello Pacifico (Anief) – Se il Ddl Buona Scuola verrà approvato, andremo a fare ricorsi ai tribunali, costi quel che costi».