Un doppio colpo lo batte il capogruppo dei deputati Roberto Speranza: «Sono inaccettabili le blindature alla legge elettorale e totalmente errate le minacce di scissione». Una cosa l’aggiunge Pierluigi Bersani: «Organizzeremo il nostro punto di vista». Dall’appuntamento a Bologna di «Area Riformista», la minoranza bersaniana del Pd, arriva la conferma della rottura con la componente di Gianni Cuperlo, «sinistra dem», e a maggior ragione con il gruppo che segue Pippo Civati: due correnti che parlano ormai apertamente della possibile divisione del Pd. E arriva anche l’annuncio che la minoranza interna proverà a organizzarsi come componente sul territorio, non a caso partendo dall’Emilia dove Bersani – «il più grande leader che questa regione abbia mai espresso» secondo il candidato alla segreteria regionale Stefano Caliandro – gioca in casa.

Ma proprio la situazione emiliana chiarisce i limiti dell’iniziativa bersaniana, se è vero che in vista delle primarie del 19 aprile Caliandro, candidato di «area riformista» alla segreteria regionale, sta per decidere di ritirarsi per lasciare spazio al renziano Paolo Calvano, avviandosi a sostituirlo nell’incarico di capogruppo in consiglio.
Lavoro di lunga lena, opposizione interna. «Restiamo con tutti e due piedi nel Pd», garantisce Bersani, «se qualcuno dice “non siete d’accordo, andate fuori”, io rispondo “no, vai fuori te, questa è casa mia”». Tutto il contrario di Cuperlo che aveva detto di vedere «a rischio l’unità e la tenuta del Pd». Sabato prossimo, però, 21 marzo, c’è da tempo convocata a Roma un’iniziativa comune di tutti gli antirenziani del Pd, ma le distanze sono tali che Renzi non ha da temere nulla dalle minoranze interne. Proprio Bersani, nel ruolo del vecchio leader, si è collocato in una posizione di confine tra la sue area e quella di «sinistra dem», le sue parole sulle riforme costituzionali e la legge elettorali suonano ancora come ultimative: «Nella denegata ipotesi che rimangano tali sia la riforma costituzionale che l’Italicum, non sono in condizione di votare la legge elettorale, e non sottovaluto certo l’incrinatura seria e profonda di una rottura su questo punto, per questo dico che non succederà. Si ragionerà».

Eppure il presidente del Consiglio non passa giorno senza ripetere che della legge elettorale, quando arriverà alla discussione di Montecitorio, non vuole cambiare «neanche una virgola». La ministra Boschi si è persino incaricata di bocciare fin da adesso, e in modo sprezzante, quell’unico emendamento sul quale la minoranza sperava di riuscire a passare: la reintroduzione della possibilità di apparentamento al secondo turno. «Faremmo un salto indietro di 20 anni – ha detto – si tornerebbe a lunghe riunioni di maggioranza per decidere su ogni cosa». Strada sbarrata, ma non è detto che i bersaniani riusciranno a dare seguito alle loro minacce. Perché votassero davvero tutti contro la legge elettorale alla camera, o contro la riforma costituzionale al senato, potrebbero sul serio rovinare i piani di Renzi. Con il rischio che il presidente del Consiglio tenti la strada delle elezioni anticipate. Del resto un’opposizione interna di lunga lena, con l’obiettivo della lontana sfida per la leadership del partito, mal si concilierebbe con una rottura nelle prossime settimane. Di certo non pensa a questo la nuova leva dei bersaniani «moderati» come il capogruppo Speranza e il ministro Martina.

E ieri a Bologna sono state gettate le basi per qualche battaglia interna. Sul reddito minimo garantito, che sarà al centro di una prossima manifestazione a Cosenza per lanciare una proposta di legge di «area riformista». E sui diritti civili, dov’è più facile mettere Renzi in imbarazzo con gli alleati di governo del Ncd. «È inaccettabile che l’Italia sia uno dei pochi paesi d’Europa che non ha ancora una legge, credo che Alfano se ne farà una ragione», ha detto Speranza (e i centristi hanno immediatamente reagito polemici).
Ma soprattutto il capogruppo Pd si è preoccupato di attaccare alla sua sinistra: «La soluzione non può essere una sinistra antagonista che nasce dalle urla televisive di Landini, ma avere più sinistra nel Pd e più sinistra nella nostra azione di governo». Il segretario Fiom gli ha risposto per le rime, mentre di Bersani si è occupato Nichi Vendola: «Ho rispetto di lui ma la sua “casa”, il Pd, è geneticamente modificata e antropologicamente cambiata».