Con micro-prelievi sulle merendine e sulle bibite zuccherate e una tassa di scopo pari a un euro sui voli nazionali e a 1,5 su quelli internazionali il governo intende recuperare i 3 miliardi richiesti dal ministro dell’istruzione Lorenzo Fioramonti (M5S) per la scuola e l’università. Una conferma è arrivata ieri dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte alla festa di Fratelli d’Italia Atreju a Roma.

Nella legge di bilancio in preparazione l’esecutivo non stanzierà nuovi investimenti pubblici nel settore più massacrato dai nove miliardi di tagli di Berlusconi nel 2008, ma agirà in maniera occasionale. Dalla manovra si capirà se, e in che modo, il resto della cifra sottratta sarà recuperata nel prossimo triennio. La cifra ipotizzata da Fioramonti servirà a finanziare l’aumento da 100 euro lordi promesso da Conte il 25 aprile scorso in un accordo con i sindacati.

L’apertura al ministro dell’Istruzione potrebbe comportare un’altra al ministro della sanità Roberto Speranza (LeU) che punta a un aumento sostanzioso dei finanziamenti: due o tre miliardi. Si accontenterà di recuperare 6-700 milioni necessari ad abolire il super-ticket su visite specialistiche e diagnostica? Non solo. La manovra, già gravata dai 23 miliardi necessari per sterilizzare l’aumento dell’Iva e dai 3-4 miliardi per le spese indifferibili, dovrebbe dare una risposta al pubblico impiego da tempo mobilitato per recuperare il blocco degli stipendi che ha finanziato in gran parte l’austerità degli ultimi dieci anni.

Per i rinnovi contrattuali ci sono già sul tavolo 1,8 miliardi. L’intenzione è quella di raddoppiarli. Se il governo intende rispettare l’accordo con la scuola, a maggior ragione dovrà farlo per la pubblica amministrazione. Conte ha confermato la promessa fatta durante il discorso del suo secondo insediamento: azzerare le rette degli asili nido per le famiglie a basso reddito. Costerebbe tra i due e i trecento milioni di euro. Un’aspirina rispetto alla febbre creata dalla strutturale carenza dell’edilizia scolastica che spinge le famiglie verso il settore privato e parificato, aggravando la crisi dei redditi di tutti i ceti, non solo di quello medio. Nelle ultime ore il capitolo ha attirato le attenzioni di «Italia Viva» che si è ripromessa di insidiare il terreno già conteso dai Cinque Stelle con la Lega nel precedente «Conte Uno», senza risultati.

I renziani hanno avanzato l’ipotesi di un «family act» (l’inglesismo provinciale richiama il «Jobs Act») per riordinare gli aiuti alle famiglie in un assegno unico. La corsa alla spesa, tipica di ogni fase preliminare all’aggiornamento del Def che sarà comunicato dal ministro dell’Economia Gualtieri il 27 settembre, rischia di scontarsi con le barriere erette dai custodi dei conti a Bruxelles. La «flessibilità» che il commissario Ue all’economia Paolo Gentiloni potrebbe non coprire l’integralità degli annunci, tenendo conto che dovranno essere trovate le risorse per finanziare anche i 15 miliardi in un triennio per il taglio del cuneo fiscale a favore dei lavoratori.

Gli auspici di un cambio del patto di stabilità, onnipresenti al momento dell’insediamento del «Conte Due», sono quasi del tutto sfumati. Nell’Europa dell’austerità la flessibilità resterà nelle regole. E le regole rendono difficile fare quadrare il cerchio con un deficit che resterà contenuto (al 2,1%?) e con una crescita che resta a zero, o quasi.

Ieri Conte ha proseguito il gioco di posizionamento rispetto alla partita europea sui fondi per gli «investimenti verdi» scomputati dal calcolo del deficit e ha proposto alle imprese un «Green deal progressivo»: nuovi incentivi per orientare il sistema verso la transizione energetica. Le aziende hanno risposto in maniera positiva. Con un’avvertenza: l’Italia potrà anche ottenere i famosi investimenti. Il suo problema è che non sa usarli. Ne usa solo il 23%. «Dobbiamo migliorare» ha detto Conte. Vasto programma, il «lavaggio verde» del capitalismo. In fondo, il «Deal» in questione significa «accordo», ma soprattutto «affare»