Camminando in centro a Roma, ieri dopo pranzo, Giuseppe Conte aveva «fretta, anzi frettissima». In serata, dopo una decina di ore di vertici diversamente assortiti, la corsa al varo del «decreto semplificazioni» era ancora al palo. Dopo avere annunciato un decreto senza avere trovato prima un accordo con la maggioranza; dopo avere inserito un condono, ed essere stato costretto a stralciarlo, dopo avere riscontrato che la corsa è piena degli stessi problemi che aveva affrontato l’anno scorso con lo «Sblocca cantieri», quando era al governo con la Lega; dopo il fallimento del vertice di ieri mattina, e prima del «preconsiglio dei ministri» iniziato al pomeriggio, ieri Conte ha provato anche con l’aut aut. Se la sua «madre di tutte le riforme» sarà «annacquato, spolpata…allora niente Consiglio dei ministri». A quel punto qualcuno può avere legittimamente pensato che questa sarebbe una buona soluzione. Non varare le norme talvolta è più utile che combinare nuovi pasticci.

Il «preconsiglio», eufemismo che indica una riunione informale a metà tra un’assemblea intergruppi e un ring di box tra capidelegazione prima del consiglio dei ministri, è continuato ieri fino a sera inoltrata. Nel frattempo però è maturata una certezza: il «decreto semplificazioni» non sarà varato entro le «due settimane, venti giorni al massimo» annunciati da Conte il 21 maggio scorso. Lo si può ormai dire giunti oggi al 3 luglio, un mese e mezzo dopo. Gli annunci invecchiano, mentre si moltiplicano i segnali di nervosismo. La moltiplicazione degli annunci e delle bozze avvenuta nelle ultime ore è il segno di questo. Ma una soluzione è sempre a portata di mano: approvare un decreto «salvo intese». È la formula derisoria con la quale le maggioranze divise su tutto si accordano almeno su una cosa: cambiare i decreti dopo che i governi li hanno approvati.

Con la consueta enfasi da consulente motivazionale, piena di anglismi come «sfidante» o «boost» (significa «incrementare», in gergo: «mettere il turbo») ieri Conte ha detto che «È il momento del coraggio, l’Italia non è disposta a fare passi indietro. Tutti dobbiamo osare. Non possiamo accettare il principio per cui non facciamo per paura di infiltrazioni». Argomentazioni smontate dalla relazione dell’Anac proprio nelle stesse ore alla Camera. «Che senso ha modificare ulteriormente il codice degli appalti dopo lo sblocca cantieri dell’anno scorso, svuotandolo con decine di Commissari che opereranno come uomini soli al comando?» si è chiesto Alessandro Genovesi (Fillea Cgil).

Tra veti, controveti e accuse reciproche ieri gli alleati di governo hanno cercato di sciogliere il nodo dell’articolo due della nuova bozza del decreto sugli appalti sopra soglia. Nel frattempo Italia Viva, alleata con i Cinque Stelle sul «Modello Genova» in deroga a tutto, criticava i grillini che sarebbero interessati alla riforma dell’abuso d’ufficio per proteggere le sindache pentastellate da procedimenti di questi tipo. I renziani chiedevano un «elenco puntuale» di opere dalla dorsale jonica alla Roma-Pescara per fare partire il «piano choc da 120 miliardi» di cui favoleggiano. Conte premeva su una modifica del danno erariale per aggirare quella che ha definito «la paura della firma» che prenderebbe i funzionari pubblici che non intendono incorrere nei procedimenti della Corte dei Conti. Vito Crimi dei Cinque Stelle andava per conto suo: «Il superbonus al 110% per le riqualificazioni energetiche e per l’adozione di misure antisismiche è una misura rivoluzionaria». «Restano norme per noi inaccettabili come quelle che consentono le ricostruzioni in deroga: nell’articolo 10 non c’è più il condono ma ci sono molte cose pericolose» ha denunciato Loredana De Petris (LeU). Il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri si manteneva fiducioso: «Il preconsiglio sta finalizzando». «Anche oggi abbiamo fatto passi in avanti, siamo soddisfatti» ha aggiunto il ministro degli affari regioni Francesco Boccia. Dopo cinque ore, al momento in cui andiamo in stampa, era stata esaminata la metà della bozza. Finalizzeranno più tardi, nelle prossime ore, al più tardi nel weekend, ma anche lunedì.