Alla fine una classica «pezza» per evitare una spaccatura tanto clamorosa da avviare il conto alla rovescia verso la crisi probabilmente Conte, Salvini e Di Maio la troveranno. Lo scontro più duro in undici mesi di governo, con tanto di lacerazione in sede di Consiglio dei ministri, verrà derubricato a caso di dissenso tra ministri come tanti ce ne sono stati. Domani mattina Conte metterà sul tavolo il decreto di revoca, i leghisti lo contesteranno, ed è pratica consueta. Quasi certamente chiederanno di mettere a verbale il proprio dissenso. Capita di rado ma neppure questo è un gesto traumatico. Soprattutto se accompagnato da dichiarazioni esplicite dei leader sull’intenzione di andare avanti comunque con il governo, il capo dello Stato non batterebbe ciglio. Probabilmente non riterrebbe neppure necessario chiedere a Conte chiarimenti sulla solidità della maggioranza. Caso chiuso.

Le cose starebbero diversamente se si arrivasse a un voto esplicito. Formalmente neppure in quel caso cambierebbe niente, ma il contraccolpo politico sarebbe molto più violento. La divisione verrebbe messa plasticamente in scena, la sensazione di un passo senza ritorno verso la crisi avviato sarebbe dilagante e renderebbe ancora più difficile sanare le ferite dopo il voto europeo. Ma il premier è certo che quella lacerante votazione sarà evitata: «Anche questo problema troverà una soluzione. Mercoledì, nel cdm, si comporrà tutto e non andremo alla conta». Il sottosegretario Giorgetti vaticina identica profezia: «È chiaro che prima di mercoledì qualcosa succederà. Non penso che il governo sia a rischio per questo caso. Va avanti se sarà in grado di fare bene le cose che abbiamo promesso». Chiude il coro bipartisan il capo dei senatori Romeo, che parte duro: «Conte si è sbilanciato a favore dell’M5S perdendo un po’ il ruolo di arbitro», poi però schiaccia il freno a tavoletta: «Non si arriverà alla conta, non ci sarà nessuna crisi di governo, non toglieremo la fiducia a Conte dopo le europee. Troveremo una soluzione». In realtà il capogruppo va anche oltre e dice senza perifrasi che alla fine la Lega accetterà il verdetto del premier. Il quale comunque, piccato, replica a stretto giro: «Non ho accettato di fare l’arbitro ma il premier, che è concetto ben diverso».

La votazione, che per prassi in sede di cdm è quasi esclusa, ci sarebbe solo se a chiederla fosse formalmente la Lega. Ma è un’eventualità poco credibile, dal momento che neppure Salvini ha interesse a portare la sfida alle estreme conseguenze su un terreno scivoloso e sfavorevole come un caso di corruzione. La resa dei conti, se ci sarà, arriverà dopo le europee e su un fronte molto più congeniale alla Lega: le autonomie che Conte ha sin qui bloccato e congelato.
Sempre che Siri non risolva il problema dimettendosi all’ultimo momento, come lo esorta a fare Di Maio: «Non arretro sino alle dimissioni di Siri. Se mi fidassi di lui gli direi di restare al suo posto. Ma sconsiglierei di arrivare al cdm». Non succederà. Salvini è contrario. Vuole che la divisione emerga con chiarezza nella riunione di mercoledì, anche se alla fine i ministri leghisti accetteranno il verdetto del premier. Salvo ripensamenti sempre possibili.
Il sottosegretario, dopo la puntata di Report che adombrava ipotesi di riciclaggio, potrebbe finire di nuovo al centro di una tempesta giudiziaria. La procura di Milano, ha aperto un’inchiesta, contro ignoti e senza ipotesi di reato, sull’acquisto di una palazzina a Milano da parte di Siri. Immediata replica di Salvini: «Se a Siri contestano un mutuo è un reato che riguarda milioni di italiani».

Nella medesima giornata di mercoledì, subito dopo l’interrogatorio di Arata, lo stesso Siri dovrebbe essere ascoltato dai pm. Quasi certamente fornirà una memoria scritta senza sottoporsi a interrogatorio. La vicenda giudiziaria che lo coinvolge sarà lunga e comunque neppure il mancato rinvio a giudizio comporterebbe il suo reintegro Quella politica si concluderà domani. Le conseguenze per la tenuta della maggioranza si vedranno solo dopo il test delle elezioni europee. Quando la maggioranza gialloverde arriverà nelle condizioni peggiori all’appuntamento con i nodi reali: le autonomie, la Flat Tax, la manovra.