«Se mi dovessi convincere in questo senso, non credo che ci saranno alternative alle dimissioni». Da Pechino il presidente del consiglio Conte fa il punto sul caso che rischia di affondare la maggioranza. Racconta di aver parlato con il sottosegretario Armando Siri giovedì, ma solo al telefono. L’incontro arriverà al ritorno dalla Cina.

COME SEMPRE il premier sfoggia diplomazia. Assicura di essere ben consapevole della “dimensione umana” della vicenda: «Non la si può trascurare ma non potrà essere determinante». Un colpo al cerchio a cui segue quello alla botte: «Non mi sento condizionato dalle forze politiche. La mia linea è molto chiara nella mia mente». Insomma nessuna scelta è ancora stata fatta ma quando arriverà il momento di decidere non saranno le pressioni degli uno o degli altri a far pendere la bilancia. Dichiarazioni doverose, obbligate. Ma poco credibili. Di Maio ha investito troppo nella vicenda per accettare un verdetto favorevole a Siri. Ormai le mancate dimissioni sarebbero una sconfitta rovinosa. È letteralmente impossibile che l’inquilino di palazzo Chigi non lo sappia e molto improbabile che possa non tenerne conto.

ANCHE PERCHÉ l’offensiva dei 5S non si ferma e si avvantaggia della linea estremamente determinata della procura di Roma. In risposta all’istanza presentata da Arata, l’industriale che avrebbe non si capisce bene se pagato o promesso i famosi 30mila euro a Siri, la procura ha depositato ieri presso il tribunale del riesame l’informativa della Dia di Trapani datata 29 marzo con la famosa intercettazione nella quale Arata, spiato grazie a un telefonino trasformato in cimice, parla apertamente col figlio di quei 30mila euro. È la risposta ai dubbi sollevati nei giorni scorsi sull’esistenza di quell’informativa, che di fatto è la base delle accuse a carico di Siri.

MA È ANCHE MOLTO DI PIÙ: l’informativa depositata ieri è piena di omissis, segno evidente del fatto che gli inquirenti ritengono, come del resto fanno filtrare loro stessi, che l’inchiesta sia destinata ad allargarsi, prendendo di mira soprattutto Arata, legato a filo doppio, secondo l’accusa, a Nicastri, il “re dell’eolico” che avrebbe finanziato la latitanza dell’ultimo boss corleonese, Matteo Messina Denaro.

L’AFFARE, insomma, anziché sgonfiarsi promette di montare sempre di più. Di Maio sente di aver azzannato la carne viva e affonda i denti. Coperte dall’anonimato, l’immancabile “fonte” del Movimento punta il dito sui rapporti tra Salvini e Arata, si chiede perché, se davvero il ministro aveva visto solo una volta l’industriale, lo propose per i vertici dell’authority per l’energia, insiste sull’assunzione del figlio di Arata da parte di Giorgetti e conclude: «Qualcosa non torna, non capiamo quali siano i reali rapporti tra Salvini e Arata».

Monta sulla giostra anche Bobo Maroni, che «metterebbe la mano sul fuoco» sia per Siri che per Giorgetti, però, già che c’è, segnala che il caso davvero esplosivo non è quello che riguarda il sottosegretario ma proprio l’assunzione di Arata jr. da parte di Giorgetti. Con una battuta del genere, si direbbe che l’ex governatore della Lombardia la mano sul fuoco la metterebbe sì, ma coperta da un guanto d’amianto.

«MARONI GUFA perché vuole rientrare in gioco e si augura la crisi», liquida sbrigativamente la faccenda Giorgetti. Ma un Salvini di pessimo umore stavolta è anche più laconico. Le scelte di Conte: «Non commento le decisioni altrui e Arata lo ho visto solo una volta». A parlare è in compenso il ministro Centinaio: «Se M5S tira dritto per la sua strada significa che mancano i presupposti per andare avanti. Se si continua con gli attacchi personali ricucire dopo le europee diventa difficile».

LA NOTA DOLENTE è che Di Maio non vuole e forse non può abbassare i toni. La posta in gioco non è mai stata la permanenza di Siri al governo. Di Maio ha bisogno di una vittoria in campo aperto non di una soluzione concordata. Deve lavare l’onta del voto contro l’autorizzazione a procedere per Salvini e dimostrare che non c’è alcuna subordinazione dei 5S al leghista. Deve alzare la tensione, non abbassarla, e in queste condizioni, anche se la crisi non si produrrà subito dopo la scelta di Conte, la convivenza diventerà rapidamente insopportabile per tutti.