Beppe Grillo ha lasciato Roma ieri pomeriggio, dribblando le domande dei cronisti sulla guerra ma con in tasca un accordo da trecentomila euro per supportare la comunicazione del M5S. Lascia Giuseppe Conte nell’agone delle polemiche per la sua scelta di non voler esprimere una preferenza esplicita al ballottaggio delle presidenziali francesi tra Marine Le Pen ed Emmanuel Macron.

Dopo giorni di mugugni nel suo partito, ha preso la parola il segretario del Partito democratico Enrico Letta, che si è messo sulla scia dei premier socialisti – «Condivido e mi sentirei di sottoscrivere l’appello dei tre primi ministri António Costa, Pedro Sanchez e Olaf Scholz a favore di Macron. «Il voto di domenica in Francia riguarda anche noi e tutta l’Europa – sostiene Letta – Ritengo che in questo momento una vittoria della Le Pen rappresenterebbe la fine dell’integrazione europea per come l’abbiamo conosciuta, rappresenterebbe un passo indietro e l’arrestarsi di uno dei motori importanti dell’integrazione europea».

Conte, da parte sua, si rivolge polemicamente «al Pd o i nostalgici di Renzi che sono ancora nel Pd». «Il Movimento 5 Stelle è molto distante dalle politiche di Le Pen – afferma il leader dei 5 Stelle – chiedo di non speculare perché noi su questo punto non ci sono fraintendimenti. Solo chi è in malafede può farlo». Dunque precisa il suo pensiero in questo modo: «I temi post da Le Pen sono temi veri, riguardano la perdita di acquisto e sulla sofferenza delle persone. Anche se le soluzioni che lei avanza non le condivido. Ma assumere atteggiamenti spocchiosi in politica non paga».

Anche molti grillini sono rimasti spiazzati dalla sua dichiarazione. La leadership di Conte è incardinata alla scelta strategica di costruire quello che l’avvocato definisce «Fronte progressista» col Pd e altre forze di centrosinistra. Da qui la scelta di costruire l’alleanza praticamente in tutte le città che vanno al voto il prossimo 12 giugno. E da qui era partita anche la trafila che doveva portare il M5S al parlamento europeo nella famiglia dei Socialisti e Democratici. Le trattative si erano fermate prima della scadenza del voto per il Quirinale, per paura dei vertici dem che un’ulteriore giro di vite all’accordo coi grillini avrebbe spinto Matteo Renzi ad accordarsi col centrodestra. Poi, però, le interlocuzioni si sono interrotte quando a Bruxelles hanno dovuto scegliere i vicepresidenti, facendo fuori l’uscente del M5S Fabio Massimo Castaldo. Dunque, è congelato anche se nessuno osa rivendicare alcuna equidistanza tra Le Pen e Macron: «Votiamo da tempo come Verdi e Socialisti, siamo lontanissimi dalle posizioni sovraniste», dicono dal fronte Ue.

«Sulla scelta tra Macron e Le Pen suggerisco a Giuseppe Conte di non buttarla in caciara, insultando i tanti che nel Pd e fuori del Pd hanno trovato inaccettabile che il leader di un grande partito non abbia avuto il coraggio di auspicare la vittoria di Macron», dichiara Andrea Romano. Il deputato Pd riprende le parole di Brando Benifei, capodelegazione del Pse al parlamento europeo, che aveva definito le parole di Conte «una furbizia mal riuscita». «Siamo lieti che quarantotto ore dopo Conte si sia accorto del passo falso e stia provando a correre ai ripari – insiste ancora Romano – La prossima volta sia più accorto: l’europeismo non è un fazzoletto alla moda da dismettere in base a come tira il vento; il voto francese avrà ripercussioni decisive su ogni aspetto della nostra vita pubblica e non è possibile né comprensibile alcuna furbizia».

Letta e Conte si incroceranno oggi al congresso di Articolo 1, una delle formazioni che ha più a cuore la salvezza dell’asse tra dem e grillini e la nascita del «campo largo». «Per noi restano interlocutori fondamentali – dice il coordinatore Arturo Scotto – Ma non si può essere equidistanti tra Macron e Le Pen. Se fossi in Francia, voterei Macron senza se e senza ma. Del resto, lo stesso Melenchon non ha esitato un minuto a dire che nessun voto dei suoi deve andare a Le Pen».