«Dodici anni fa abbiamo fatto l’impossibile. Ora dobbiamo fare il necessario», quando Beppe Grillo fa gli auguri al Movimento 5 Stelle per il suo dodicesimo compleanno le urne sono ancora aperte e non sono ancora arrivati i dati che certificano la sconfitta delle candidate di punta Virginia Raggi e Valentina Sganga, rispettivamente a Roma e Torino. Eppure, il fondatore sembra alludere al fatto che ormai il M5S debba giocare sul terreno delle doverose impellenze più che su quello delle ardite sperimentazioni. Un pragmatismo che Grillo ha anticipato nei mesi scorsi ma che letto alla chiave dei risultati delle amministrative conduce direttamente al quadro successivo: cosa farà il M5S ai ballottaggi, tra due settimane?

La domanda viene posta direttamente Giuseppe Conte, che ha seguito i risultati da Montecitorio. Da settimane il capo politico sostenendo aggira la questione sostenendo che «gli elettori non sono pacchi che decidiamo noi dove spostare». Ma se è vero che il M5S è storicamente debole sui territori, e dunque probabilmente non in grado di influenzare i comportamenti di un elettorato di opinione, questa volta ha un ruolo politico più marcato, come azionista del governo Draghi e come pontenziale alleato del centrosinistra di Enrico Letta. In questa chiave deve muoversi Conte, che però lascia aperto uno spiraglio: «Valuteremo sei ci sono le condizioni del dialogo – scandisce – sicuramente non abbiamo nessuna suggestione per le forze di destra, le cui soluzioni ai problemi del paese consideriamo inadeguate». Per il resto, Conte ha tutto l’interesse a salvaguardare quello che definisce il «nuovo corso». «Questo è il tempo della semina – dice – mi sono insediato poco prima che si presentassero le liste. I dati confermano l’enorme potenzialità della strada che abbiamo intrapreso a Napoli e Bologna». Nel capoluogo emiliano l’apporto del M5S alla vittoria di Matteo Lepore è trascurabile, i primi dati lo danno sotto il 4%. A Napoli, invece, i 5 Stelle non raggiungono i risultati bulgari che avevano ottenuto alle politiche di tre anni fa ma risultano in crescita rispetto alle precedenti comunali e quasi contendono al Pd la posizione di prima forza politica. Il valore simbolico e sostanziale di questa piazza è confermato dal fatto che in serata, al comitato elettorale grillino partenopeo, convergono Conte ma anche Luigi Di Maio e Roberto Fico.

A Roma e Torino, al contrario il M5S incassa meno di un terzo dei voti rispetto al 2016, quando elesse Raggi e Appendino, anche se soprattutto nel caso di Raggi bisognerà misurare il peso delle liste civiche che sono state cucite attorno alla sindaca uscente e che probabilmente hanno drenato voti. A proposito di coalizione, tuttavia, il M5S perde in Calabria, dove era primo partito alle europee del 2019 e dove aveva tallonato le forze politiche maggioritarie nel corso degli ultimi anni. Adesso si ferma intorno al 6%, che significa restare anche al di sotto delle regionali di appena un anno e mezzo fa, quando il risultato venne considerato particolarmente deludente.

Oltre che sulle alleanze e sulla scelta di campo, Conte interpreta l’esito del voto anche nella chiave della ristrutturazione organizzativa che sta portando avanti e che nei prossimi giorni dovrebbe concretizzarsi con la nomina dei responsabili tematici e dei dirigenti, a partire dai vicepresidenti. L’ex presidente de consiglio, a questo proposito, ricorda i limiti del M5S sul piano locale e rivendica l’esigenza di «essere radicati sui territori per essere più competitivi».

Tutto ciò apparirebbe abbastanza lineare, cosa singolare visto che si parla del Movimento 5 Stelle, se non ci fosse la guastatrice Raggi. Che quando i risultati cominciano a delinearsi rivendica il suo ruolo alternativo «alle corazzate di centrodestra e centrosinistra». Anche con questo tipo di atteggiamenti dovrà rapportarsi Conte al momento di scegliere la linea da seguire al ballottaggio.