«L’uomo superiore è calmo senza essere arrogante. L’uomo da poco è arrogante senza essere calmo». Parola di Confucio e Salvini non cita il saggio per amor di sapienza. Se assicura che per «uomo superiore» non intende se stesso, quando passa all’uomo da poco punta il dito, non per modo di dire, contro il premier. E aggiunge un sonoro «Si vergogni».

CHI SI ASPETTAVA uno scontro senza esclusione di colpi è uscito dal match di ieri in parlamento su Mes soddisfatto. Conte è andato giù duro, sprezzante: «Sono stupito non dal senatore Salvini, la cui disinvoltura nel restituire la verità e la cui resistenza nello studiare i dossier mi sono ben note, ma da Giorgia Meloni». Puntiglioso, enumera tutti i passaggi che, a suo parere, dimostrano l’infondatezza dell’accusa di aver cercato di aggirare il parlamento. Conclude indignato: «Anche solo alludere» ad addebiti come quelli che gli sono stati mossi è inaccettabile. Nel merito difende il trattato, ricorda che grazie «alla negoziazione» sono stati espunti i passaggi che avrebbero leso l’interesse nazionale. E comunque: «Niente è stato firmato».

È UNA POSIZIONE DEBOLE. Perché la documentazione che Conte squaderna conferma sì che in Parlamento di Mes si è parlato spesso, ma i toni dei documenti e della dichiarazioni che lo stesso premier cita non sono certo favorevoli alla versione finale del testo. Al contrario chiedevano secchi di arrivare al veto. Inoltre l’improvvida uscita del ministro Gualtieri nell’audizione della settimana scorsa, quando definì il trattato «non emendabile», cozza con la garanzia che nulla è stato ancora concluso. Meloni e Salvini non accolgono l’invito ad abbassare i toni. Insistono sul fatto che uno dei due, Conte o Gualtieri, mente. Il leghista tiene a far sapere che secondo lui bugiardo è il primo.
Sin qui potrebbe ancora trattarsi di sceneggiata, anche se per rintracciare un simile livello di ostilità in parlamento bisogna risalire sino agli anni ’50. Ma il peggio è che le critiche alla riforma si moltiplicano, sono molto meno sguaiate e più circostanziate di quelle dei due leader della destra, e soprattutto vengono dall’interno della maggioranza, dai 5S e da LeU,con Fassina che senza alzare la voce smonta la riforma pezzo per pezzo.

MA IL PEGGIO NON SONO le parole. Sono i silenzi. I sussurri dei 5S, che nonostante la drammaticità della situazione e il pathos del discorso di Conte non vanno oltre fiacchi applausi. Il gelo di Luigi Di Maio, che non applaude una sola volta e lascia l’aula senza neppure salutare Conte. L’immobilità della maggioranza, che conta peraltro moltissime assenze, quando Salvini sottopone il premier a un quarto d’ora di insulti massacranti. Il leader leghista fiuta il clima e infierisce: «La vedo molto più nervoso di come fosse in agosto», incalza vendicativo e l’aula non rumoreggia, non fischia, non replica.

Basterebbe questo a segnalare uno scollamento della maggioranza che procede a velocità vertiginosa, imprevedibile con tanta celerità. Ma anche nel merito la faccenda è tutt’altro che risolta. Da Bruxelles arrivano voci su un possibile rinvio ma sono accenni tutti da verificare. La firma, certo, non ci sarà prima di febbraio e forse oltre, ma questo era già stato deciso. La disponibilità del Consiglio europeo a eliminare dall’ordine del giorno del 13 dicembre il Mes, o anche solo a dichiarare apertamente che occorrono ulteriori approfondimenti, non è fuori discussione ma neppure facile. I margini, fanno sapere da Bruxelles e Strasburgo, sono stretti. Lo si vedrà domani, nella riunione dell’Eurogruppo nel quale Gualtieri cercherà una sponda che lo aiuti a individuare un via d’uscita.

SENZA RINVIO, la formula non può che essere quell’accordo «di pacchetto» che lo stesso Conte ha esaltato nel suo intervento. Il problema è che un pacchetto in cui qualcosa, il Mes, viene approvato ora e il resto, l’Unione bancaria, deve accontentarsi di una roadmap, cioè di parole, impegni e buone intenzioni, rischia di apparire piuttosto spacchettato.
In questi casi tutto dipende da quel che si vuole vedere. Per ora il M5S non sembra disposto ad accontentarsi di un contentino formale. Il comunicato serale di Di Maio è duro: «Il M5S oggi è più che mai compatto di fronte alla necessità di dover rivedere questa riforma che presenta criticità evidenti». Gli umori, nel gruppo parlamentare, sono decisamente più battaglieri del previsto e molti pentastellati ammettono la massima preoccupazione di fronte alla campagna contro gli euroburocrati di un Salvini che nei loro confronti ha peraltro adoperato toni più che amichevoli.

CONTE TORNERÀ In Parlamento il 10 dicembre. L’11 si voteranno le mozioni. Il premier e Gualtieri hanno meno di dieci giorni per trovare una via d’uscita. Se la maggioranza si presenterà divisa sarà crisi subito. È improbabile, non impossibile.