Nessuno si aspettava di più dal vertice del Consiglio europeo e Conte si è presentato agli Stati generali per il consueto briefing per incassare i passi avanti, soprattutto sulla nota perennemente critica dei tempi. Ma non è solo questione di Recovery Fund. Per arrivare in piedi alla possibilità di usare strategicamente quei fondi, l’Italia ha bisogno di liquidità subito. Conte lo fa capire quasi esplicitamente: «Serve un anticipo e quello che c’è per ora è modesto. Stiamo lavorando per renderlo più sostanzioso». Trattasi di eufemismo: quello che c’è per ora, 11 miliardi da dividersi tra vari Paesi, non basta neppure per gli spiccetti. Oltre al «Sure» servono 30 miliardi per le casse integrazioni, per gli ammortizzatori che dovranno fare da paracadute ai licenziati, per rinviare le rate delle tasse. Tutte faccende che vanno sbrigate in estate. Non si può aspettare neppure l’autunno, figurarsi l’arrivo del fondo l’anno prossimo.

L’ANTICIPO però è tutt’altro che facile da ottenere. «Tra il Mes e il Recovery Fund non c’è alcun collegamento» ha assicurato Conte. Formalmente ha ragione. Politicamente il discorso è un po’ più complesso. Per quanto riguarda l’anticipo, invece, il nesso ci sta tutto. Il leit-motiv dei paesi «frugali» è secco: «Come si può affermare di non aver bisogno del prestito del Mes e allo stesso tempo reclamare urgentemente un cospicuo anticipo?». Insomma, intanto prendessero il Mes, poi si vedrà. Il passaggio è anche più complicato di così.

Perché il Fund diventi legittimo e poi operativo occorre l’approvazione di tutti i Parlamenti della Ue. Come si fa ad assegnare un anticipo su un Fondo la cui esistenza, almeno formalmente, resterà in forse sino a che tutti i Parlamenti non si saranno pronunciati?

Tanto più urgente, secondo il Pd e Iv, è dunque quel ricorso al Mes sul quale pesano ancora il veto dei 5S e i dubbi di LeU. Conte per ora resta trincerato nel rinvio: «Non è cambiato niente. Leggeremo i regolamenti e andremo in Parlamento».

PRIMA di quel momento la quadra dovrà essere stata trovata e anche blindata. Quel che è successo giovedì al Senato rivela nei particolari quanto disastroso sarebbe arrivare all’appuntamento senza aver sciolto prima il nodo, senza alcun sospeso. La sola alternativa plausibile è un ulteriore e massiccio ricorso al deficit, al quale del resto ha già più volte accennato lo stesso presidente del Consiglio. I 10 miliardi ai quali Conte ha alluso non basteranno. Servirebbero due tranches di almeno 15 miliardi l’una: la prima subito, la seconda contestualmente alla presentazione della legge di bilancio in settembre. Il Pd è contrario. Perché il debito pubblico, sommando la parte di Recovery Fund che peserà sul debito e che è ancora incerta ma ci sarà certamente, andrebbe molto oltre i livelli di guardia più estremi.

Ma anche per la solita questione europea: ci sarebbe senza dubbio chi metterebbe all’indice la scelta di ricorrere di nuovo al deficit, dopo gli 80 miliardi stanziati, affermando però di non aver bisogno del Mes.

ANCHE I TEMPI in questa partita, più delicata di quanto non appaia, giocano la loro parte. Conte e i 5S vogliono arrivare in Parlamento a settembre, quando l’intero pacchetto sarà completo e il rischio, a quel punto immediato, di crisi sociale allontanerà un po’ quello della crisi. Vorrebbe però dire umiliare per la terza volta il Parlamento, negando un voto che sarebbe per legge obbligatorio anche prima del Consiglio del 17 luglio. Farcela, per «Giuseppi», non sarà facile.

UN MANO, non risolutiva, la daranno i Btp «Futura» che saranno sul mercato, destinati solo al retail, cioè non agli investitori istituzionali, da lunedì 6 luglio a venerdì 10 alle 13. Avranno scadenza decennale, garantiranno un premio fedeltà dell’1%, che potrebbe però lievitare sino al 3%. Se avranno lo stesso successo dell’ultima asta per il governo sarà un mezzo sospiro di sollievo.