Giuseppe Conte si appresta a mettere mano all’organigramma del nuovo Movimento 5 Stelle, che in primo luogo dovrebbe avere una sorta di segreteria. L’organo serve a rassicurare le diverse componenti e a fugare l’idea dell’«uomo solo al comando».

Qui cominciano i problemi. Perché l’ex presidente del consiglio vorrebbe tutti i big attorno a lui, in modo da avere le spalle coperte, ma non è affatto detto che uno come Luigi Di Maio voglia esporsi in prima persona, o se piuttosto preferisca coltivare la sua posizione da ministro e leader ombra, come sta facendo già da qualche mese. Si fanno anche i nomi di Chiara Appendino, che da ottobre non sarà più sindaca di Torino, e dell’ex ministra dell’istruzione Lucia Azzolina.

«Ci saranno organi collegiali nuovi ma non ricadremo nelle tradizionali forme di partito: saranno luoghi di confronto anche per la linea politica. Dobbiamo conservare la freschezza del Movimento 5 Stelle, strutture agili ma comunque molto funzionali», promette Conte. Che poi annuncia di voler incontrare i leader delle altre forze politiche per immaginare riforme che tolgano peso «alle forze del 2-3%».

L’altro ordine di problemi riguarda il modo in cui la segreteria dovrà essere composta. Se tramite cooptazione dal leader o per elezione, e qui rispunterebbe immediatamente dalla finestra quel modello Rousseau che è stato appena messo alla porta.

Da questo punto di vista c’è un precedente ingombrante, che risale all’ultima volta che la piattaforma di Davide Casaleggio è stata usata per misurare il peso specifico dei singoli esponenti grillini. Era lo scorso mese di novembre, e gli iscritti dovettero scegliere i nomi dei relatori all’assemblea finale degli Stati generali. I vertici, all’epoca il reggente era ancora Vito Crimi, decisero di comunicare i nomi dei trenta più votati, senza far sapere quanti voti avevano preso e in quale ordine si fossero classificati. Si voleva evitare che quella votazione diventasse una conta interna, che comparisse come un sondaggio interno sul prossimo leader.

I sostenitori di Alessandro Di Battista fecero sapere che quella scelta serviva anche a depotenziare il consenso di cui godeva l’ex deputato. Si disse anche che uno dei preferiti dagli iscritti era l’ex Iena e attuale parlamentare europeo Dino Giarrusso, peraltro poco dopo finito sotto la lente dei probiviri per presunta attività di lobbying (era accusato di aver preso soldi da operatori vicini a industriali del tabacco e della farmacia).

E proprio Giarrusso, volto televisivo e popolare, compare davanti alle telecamere per dettare a Conte condizioni che trovano concordi diversi parlamentari: «Dobbiamo legittimare tutta la nuova struttura del M5S tramite la base, se qualcuno pensa di farlo dall’alto sappia che poi gli elettori se ne vanno». Nel mirino di Giarrusso c’è la sottosegretaria allo sviluppo economico in quota M5S Alessandra Todde, già manager di Olidata e candidata alle europee non eletta adesso tra le papabili per la dirigenza dell’era contiana.

«Sui giornali si parla di segreteria – dice Giarrusso – Si parla anche di Todde, bravissima, ma io nel mio collegio ho preso 30 mila voti in più di lei. Mi auguro quindi che Conte di questo genere di cosa ne prenda atto». La richiesta è esplicita: «Se si votasse la segreteria io sarei stato già eletto, come hanno dimostrato gli Stati generali. Quindi vorrei che la nostra base contasse, se non la facciamo votare allora non capisco che abbiamo chiesto a fare i dati a Casaleggio».