Alla ripresa di settembre il nuovo leader del Movimento 5 Stelle Giuseppe Conte deve districarsi tra alleanze ed equilibri interni. Prova ne è l’intervista che rilascia al Corriere della sera, che contiene due elementi sostanziali sul posizionamento del nuovo M5S.

DA UNA PARTE, Conte attacca Matteo Salvini e la Lega per i decreti sicurezza che vennero approvati su spinta dell’allora ministro dell’interno dal governo che lui stesso presiedeva. Conte ci tiene a distinguersi, dice di non aver provato a convincere Salvini, ma non fa autocritica per aver difeso quei provvedimenti. Si limita a prendere le distanze da quei provvedimenti come se lo riguardassero da lontano. «L’eliminazione della protezione umanitaria ha impedito a molti migranti di entrare nel sistema di accoglienza e ad altri di farli uscire in quanto non aventi più titolo, con il risultato che migliaia di migranti sono diventati invisibili – spiega Conte – Insomma, Salvini da ministro dell’interno sui rimpatri e sull’immigrazione ha fallito. È un dato di fatto».

CRITICARE SALVINI, comunque, significa ribadire che i 5 Stelle si considerano parte del campo del centrosinistra. Anche qui, però, ribadisce che l’alleanza tra il M5S e il Partito democratico non ha carattere «strutturale», riprendendo la formula che era prevalsa al tempo degli Stati generali grillini, quando l’area vicina ad Alessandro Di Battista era riuscita a prevalere sul tema degli schieramenti. Non credo che sia utile tuffarci in una alleanza strutturale – dice Conte – La cosa più utile è lavorare insieme per condividere un progetto solido e chiaro». Poi mette le mani avanti sui risultati del M5S alle amministrative di ottobre: «Il risultato di questo voto non potrà essere significativo per il Movimento – sostiene – visto che il nuovo corso non ha ancora potuto dispiegare i suoi effetti». Da Torino, impegnato per la campagna delle amministrative, gli risponde il segretario del Pd Enrico Letta: «Il rapporto con il presidente Conte, con il suo lavoro di guida dei 5 Stelle è positivo, ho stima di lui, di quello che ha fatto e sta facendo, dopo di che le elezioni amministrative sono amministrative e hanno un connotato locale molto forte che voglio rimanga chiaro».

DIFFICILE ATTRIBUIRE un significato relegato alla specificità locale alla tornata di suppletive per il parlamento. Si vota a Siena, dove si candida proprio Letta senza simbolo di partito supportato da un fronte comune del centrosinistra, e nel collegio di Primavalle a Roma. Laddove Conte era stato tentato di candidarsi, il Pd schiera il suo segretario cittadino Andrea Casu. Nessuno in campo per il M5S, che però non dichiara esplicitamente l’eventuale desistenza nei confronti dei candidati dem.

IL CAPOLUOGO PIEMONTESE è uno dei comuni in cui M5S e Pd corrono su fronti contrapposti alle amministrative. L’altro, checché ne dicano i leader destinato a pesare sulle sorti del «nuovo corso» grillino e quindi sull’alleanza col centrosinistra, è ovviamente Roma. Qui Conte deve districarsi doppiamente: se Raggi non dovesse essere rielette si troverebbe a dover fronteggiare un duro colpo per il M5S, ma se la sindaca dovesse farcela a spese del suo ex ministro dell’economia Roberto Gualtieri si troverebbe in casa una personalità ingombrante e non del tutto allineata, che già negli scorsi cinque anni in virtù della sua posizione in Campidoglio ha rotto equilibri interni e travolto decisioni prese a livello nazionale. A supporto di Raggi ci saranno sei liste: quella del M5S sarà capeggiata dal capogruppo in assemblea capitolina Giuliano Pacetti, affiancato dai fedelissimi di Raggi e consiglieri uscenti Paolo Ferrara e Pietro Calabrese, divenuto vicesindaco (oltre che assessore ai trasporti) dopo il benservito a Luca Bergamo.

HA ANNUNCIATO la sua presenza in una delle liste civiche che appoggiano la sindaca l’ex miss Italia Nadia Bengala, che in passato si era candidata con la destra di Francesco Storace e che dice di non condividere la linea troppo tenera del M5S sui migranti. Della partita sarà anche Alessandro Bianchi, già ministro dei trasporti in quota Comunisti italiani nel secondo governo Prodi.