È quasi un pronunciamento in piena regola quello degli industriali. Una «agenda» compilata da Confindustria di Lombardia, Piemonte, Emilia-Romagna e Veneto, quattro regioni che valgono in 45% del Pil, per invocare e quasi imporre la riapertura delle aziende. Altrimenti «il Paese rischia di spegnere definitivamente il proprio motore» e gli effetti si vedranno subito: «Molte aziende finiranno per non essere in grado di pagare gli stipendi del prossimo mese». È un grido di allarme ma anche una minaccia, alla quale fa seguito una condizione precisa: «Concretizzare la Fase 2 definendo una roadmap per una riapertura ordinata e in piena sicurezza».

È UNA POSIZIONE opposta a quella sulla quale martellano medici e tecnici, convinti che si debba invece procedere con i piedi di piombo, pena un nuovo dilagare del contagio. È un dilemma, perché entrambe le aree hanno solidi argomenti da squadernare. Conte verifica una volta di più quanto difficile sia coniugare le confliggenti esigenze quando, a pranzo, convoca i capidelegazione al governo. Speranza dà voce all’opinione dei tecnici.

La renziana Bellanova a quelle delle aziende. Il premier, fosse per lui, sarebbe probabilmente più sensibile al richiamo degli industriali, anche perché mette nel conto le dimensioni ciclopiche delle difficoltà che lui e tutto il Paese dovranno affrontare una volta superata l’emergenza virus. Ma per ora non decide, e non lo farà fino a quando i segnali positivi sul fronte del contagio non si saranno consolidati. Forse qualcosa dirà quando, venerdì o più probabilmente sabato, prolungherà di altre due settimane le misure di distanziamento, probabilmente allargando però l’area delle aziende esonerate dall’obbligo di chiusura. Passata la pasqua, però, tutto lo spinge a decidere entro la fine di aprile la riapertura generale. Anche perché decine di migliaia di imprese, nelle regioni del nord, stanno già praticando l’obiettivo con le autocertificazioni. Per cittadini e negozi, però, il percorso sarà ben più lungo.

EPPURE IN QUESTE ORE non è questo il cruccio principale di Conte. Prima bisogna chiudere la partita europea ed è una sfida difficilissima. Tanto che il premier, in un’intervista alla tedesca Bild mette in campo l’ipotesi più estrema: «Io chiedo un ammorbidimento delle regole di bilancio. Altrimenti dobbiamo fare senza l’Europa e ognuno fa per sé». In serata Conte convoca una riunione a tre, senza capidelegazione o capigruppo, con il ministro dell’Economia Gualtieri e il ministro degli Esteri, ma soprattutto quanto di più vicino a un leader ci sia nel M5S, Di Maio. In agenda un solo punto chiave: come comportarsi nell’Eurogruppo di oggi pomeriggio. Conte sa di dover accettare una mediazione ma sa anche che reggerla non sarà possibile senza la compattezza della maggioranza e quella coesione dipende tutta dalla disponibilità europea ad allentare i vincoli del Mes.

FRANCIA E GERMANIA premono sull’Olanda, la cui intransigenza sulle condizioni del Mes aveva paralizzato dopo 16 estenuanti ore l’Eurogruppo. Fanno sapere che il documento finale, oggi, potrebbe contenere un accenno ai «coronabond», per la verità molto timido, una formula vaga sull’uso di «strumenti innovativi». In cambio, però, chiedono all’Italia di accettare un compromesso: condizionalità diverse da quelle rigide invocate dall’Olanda, di fatto la verifica dei conti pubblici italiani a emergenza terminata, ma pur sempre condizioni, mentre l’Italia, in questo caso isolata, vorrebbe cancellare ogni riferimento a vincoli futuri (oltre a quelli comunque impliciti nel Mes).

MA PERCHÉ SI ARRIVI a un compromesso a Bruxelles è necessario che prima lo si trovi a Roma, o almeno che se ne individui la possibilità. Se i 5S, tallonati dall’offensiva di Salvini, insistono nel loro pollice verso nei confronti di qualsiasi condizione per accedere al Mes, a ballare non saranno solo le istituzioni della Ue ma anche la maggioranza in Italia e la stabilità del governo. Certo non subito, ma di qui a pochi mesi. Dunque Conte da un lato fa balenare di fronte ai partner europei la possibilità di una frattura forse insanabile. Ma dall’altro, con la maggioranza, cerca una formula che eviti il disastro sia a Bruxelles che a Roma. Come per esempio accettare la formula europea ma assicurando la volontà di non chiedere il prestito, o di chiederne solo una parte molto limitata e facilmente restituibile nei tempi dati.