Il ritorno delle trattative a tutto campo, e dei nomi di ultimi eredi della Prima Repubblica come il democristiano Pierferdinando Casini e il socialista Giuliano Amato tra i quirinabili, crea un anomalo moto di sollievo ai vertici della prima forza parlamentare, quella più tormentata e in fondo meno ligia alle consegne dell’alleanza: il Movimento 5 Stelle.

Nella giornata dei vertici bilaterali e degli incontri incrociati, della ripartenza di quel «dialogo» che Giuseppe Conte auspicava per evitare di ritrovarsi il pacchetto-Draghi al Quirinale bell’e pronto, il M5S non ha modo di discutere e quindi di dividersi. Restano l’indicazione della scheda bianca e l’evocazione della candidatura di Andrea Riccardi che si depotenzia col passare delle ore. Rimane anche la faccia scura di Luigi Di Maio, che esce dalla Camera poco prima di Conte consapevole che la sua linea, quella che voleva Draghi al Quirinale e un governo politico-politico per chiudere la legislatura, si è scontrata con alcuni dinieghi, sembra avere meno spazio ma alla fine potrebbe rivelarsi l’unica strada percorribile paradossalmente proprio per salvare il lavoro dell’esecutivo.

L’espressione «totale sintonia» che dallo staff di Conte trapela nel pomeriggio a proposito dell’incontro tra il leader M5S e Matteo Salvini allude proprio al fatto che il leghista, nelle vesti di portavoce dell’ala destra della maggioranza parlamentare che regge Draghi, considera inamovibile il presidente del consiglio. Ciò consente ai 5 Stelle di riprendere a parlare della necessità della «ricerca di un nome condiviso» senza che nessuno degli schieramenti possa vantare un diritto di prelazione. «Bisogna mettere da parte al più presto le schede bianche e scrivere un nome che unisca il paese», è la formula che circola tra i grillini. Almeno quelli di osservanza contiana. La cinquantina di parlamentari che risponde a Di Maio attende indicazioni: viene smentita la notizia circolata in mattinata di una riunione ad hoc dei grandi elettori vicini al ministro degli esteri.

«I cittadini hanno bisogno di certezze» dice il ministro dell’agricoltura e capodelegazione del M5S al governo Stefano Patuanelli nel pomeriggio, ribadendo quanto lo stesso Conte aveva annunciato nella tarda mattinata, entrando a Montecitorio, circa il fatto che il paese non si potesse consentire di «perdere tempo» con le trattative e la formazione di un nuovo governo. Da qui l’idea del «patto coi cittadini» al posto del «patto di legislatura» evocato da Letta per consentire alla maggioranza di fare i conti con l’eventuale trasloco di Draghi.

Domenica sera, Conte aveva prospettato agli eletti la possibilità che la decisione del Movimento 5 Stelle dovesse essere sottoposta al voto online. Lo ribadisce anche il vice Mario Turco a fine giornata, circoscrivendo di fatto l’ipotesi alla figura di Draghi e alle sorti del governo: «Se dovesse esserci una discontinuità nell’esecutivo consulteremo gli iscritti, come prevede lo statuto». È un richiamo all’identità e alla retorica della democrazia diretta che pure sembrava sepolta dopo gli infortuni di Casaleggio e l’abbandono di Rousseau. È un modo per bypassare le divisioni interne e mettere a tacere i dissidenti. Ma potrebbe apparire il segnale di debolezza di una leadership che non riesce ad assumere una decisione fino in fondo.