Silvio Berlusconi parla come un leader di maggioranza. Si fa intervistare dal Giornale di famiglia e lancia ponti d’oro alla maggioranza: «È il momento della condivisione delle scelte». È pronto a dare in aula «tutti i voti necessari per le cose utili al Paese». Matteo Renzi parla come un leader d’opposizione: «Meglio un lockdown totale di queste misure a metà».

Nella notte di martedì, nel vertice di maggioranza, Giuseppe Conte gli aveva risposto a muso duro che il Dpcm non si tocca. Anzi, informa il ministro agli affari regionali Francesco Boccia, il governo impugnerà eventuali ordinanze delle Regioni che dovessero mitigarlo.

Ma dall’ultima del ragazzo di Rignano, un «lockdown totale» per modo di dire, dal momento che ne sarebbero esclusi il settore manifatturiero e le scuole, oltre ovviamente ai negozi di beni di prima necessità e alle farmacie, il premier è più che tentato, ora che Francia e Germania hanno imboccato quella strada. Si tratta solo di fissare la data. Forse già alla fine di questa settimana, più probabilmente al termine della prossima.

Nella notte un Pd il cui segretario viene descritto come a un passo dall’esasperazione aveva incalzato Conte su più fronti. È ora di smetterla di dire che le cose sono state fatte tutte benissimo e di cominciare a farle davvero: bisogna che il presidente del consiglio si svegli e riprenda in mano la situazione. Ma è anche ora di finirla con la pratica delle decisioni prese a palazzo Chigi e poi illustrate per la ratifica e già che ci siamo, col malcontento che monta come un uragano nel Paese, bisogna aprire un canale di dialogo con l’opposizione.

Nicola Zingaretti aveva già rimarcato il concetto con una lettera a Repubblica destinata a uscire al mattino: «Il nemico è il virus: il governo si concentri sul dialogo con le forze d’opposizione». Si dice opposizione ma si legge soprattutto Forza Italia, perché al Pd non è certo sfuggito il progressivo smarcamento di Arcore dalla linea intransigente di Matteo Salvini e Giorgia Meloni.

Conte però è un muro di gomma: soprattutto sulla richiesta di spogliare palazzo Chigi delle prerogative decisionali assunte nella crisi. A Montecitorio, rispondendo al question time, il premier ribadisce di essersi attenuto al dettato del Comitato tecnico-scientifico. Il Cts aveva prospettato quattro scenari possibili indicando per ciascuno le misure adeguate e ora siamo nel terzo scenario: «A tali misure si è attenuto il governo con il Dpcm».

Anche sul dialogo con l’opposizione Conte non si scosta dalla chiusura sostanziale dimostrata sin dall’inizio della crisi. Il leghista Salvini si lamenta: «Apprezziamo le parole di Zingaretti ma nessuno ci ha chiamati». Giorgia Meloni è più dura, commentando la missiva del segretario del Pd ma anche gli attacchi di Renzi: «Una pagliacciata. Sui giornali fanno trapelare indignazione, in parlamento non dicono niente». Toni che hanno ben poco a che vedere con la disponibilità di Berlusconi.

Alla fine la sola conclusione è la decisione di anticipare la verifica di maggioranza. Avrebbe dovuto svolgersi dopo gli Stati generali del Movimento 5 Stelle. Al termine del vertice dell’altra notte Conte ha promesso di anticipare di qualche giorno. Che lo faccia davvero non è certo: sedersi al tavolo della verifica senza conoscere l’esito degli Stati generali significherebbe giocare al buio completo.

Tanto più che in quella sede, nella situazione attuale, diventerà difficile, forse impossibile, evitare di prendere una decisione sul Mes. Passaggio difficile da sempre e oggi anche più pericoloso e che dunque il premier rimanderebbe all’infinito.

Ma in realtà al buio, in questo momento, giocano tutti, in maggioranza e all’opposizione. Senza una strategia né da una parte né dall’altra. Senza riuscire a prevedere cosa succederà non tra un anno ma tra un mese. Perché il pallino, in questa fase, lo ha in mano solo il Covid 19.