Se prima erano in tre a ballare l’hully gully, adesso sono in quattro a ballare l’hully gully. Però l’improvvisa comparsa del quarto ballerino, al secolo i gruppi parlamentari renziani di Italia Viva, non rendono la danza del governo più ordinata. Al contrario la scompigliano, diffondono risentimento e timori. A partire naturalmente da palazzo Chigi.

Giuseppe Conte, come è noto, era stato informato del colpo di testa di Renzi lunedì sera. Ufficializza la notizia una nota di palazzo Chigi in cui il risentimento del premier, nonostante gli sforzi di diplomatici nei quali l’uomo eccelle, tracima e traspare. La nota afferma infatti che Conte «ha espresso la propria perplessità su una iniziativa che introduce elementi di novità non anticipati al momento della formazione del governo». Si tratta, prosegue palazzo Chigi, di una operazione «niente affatto trascurabile». Se Conte ne fosse stato messo al corrente per tempo avrebbe avuto a disposizione un quadro più completo «per valutare la sostenibilità e la percorribilità del nuovo progetto di governo». In concreto, il governo forse non sarebbe nato e se anche fosse partito comunque non sarebbe stato quello che è. Né nella composizione né nella traiettoria annunciata.

Sono gli stessi umori che si respirano negli studi di Luigi Di Maio e dei ministri a 5 stelle. La dichiarazione ufficiale del ministro degli Esteri, che aveva ricevuto anche lui lunedì sera la telefonata esplosiva dell’ex premier, assicura che la dipartita di Renzi «non rappresenta un problema, anche perché le dinamiche di partito non ci sono mai interessate». L’importante è solo che Renzi confermi la fiducia al governo e al progetto, e lo scisso non si farà pregare. Ha già assicurato massima fedeltà al governo, che deve arrivare fino al 2023, alla fine della legislatura, e al programma, che fa fede da solo e non richiede incontri con gli altri capipartito.

Ottimo. Solo che a porte chiuse le previsioni dei 5S sono molto meno rosee e le accuse di «scorrettezza» fioccano. Nessuno in realtà teme che Renzi possa assassinare in culla un governo che ha voluto più di chiunque altro. A meno che non sia l’opposizione a insistere, il governo non si presenterà in aula per chiedere di nuovo la fiducia, come usuale in caso di cambi di maggioranza, perché in questo caso si tratta solo di una diversa divisione all’interno della medesima maggioranza. La prova del 9 arriverà quando il governo deciderà di mettere la fiducia ma nessuno nutre dubbi. La paura reale è che Renzi diventi, come dicono nello stato maggiore pentastellato, «il nuovo Salvini». Cioè che inizi a bersagliare il governo pur ribadendo la fiducia.

Sul Colle, che mantiene un rigoroso riserbo, la preoccupazione che rende l’atmosfera molto più pesante di quanto non fosse nei giorni precedenti, è un’altra ed è più realistica. Ieri il premier ha incontrato Mattarella. Le voci quirinalizie assicurano che di tutto si è parlato tranne che della nuova composizione della maggioranza. Crederci è più impossibile che difficile. Ma che l’argomento sia stato affrontato o meno cambia poco. I timori del Quirinale sono comunque noti e condivisi da Conte e dall’intera maggioranza, a partire proprio dal Pd. Renzi infatti non ha certo preso una decisione comunque drammatica solo per ingannare il tempo. I gruppi parlamentari gli servono per mettere bocca nelle scelte del governo volta per volta. Si può star certi che non si risparmierà e che interverrà di persona, avendo scelto la scissione anche per garantirsi massima visibilità. Eserciterà il potere di veto assicuratogli non solo dall’avere a disposizione un gruppo parlamentare, ma anche dal controllare ancora, in buona parte, anche quello del Pd, del quale resta per ora presidente il suo uomo di fiducia, Andrea Marcucci.

Inoltre, dovendo sfruttare al massimo l’esperienza di governo per costruire consenso intorno al suo futuro partito, non mancheranno richieste di interventi ad alto tasso sia di popolarità che di spesa, costringendo così i competitor della maggioranza a fare lo stesso. Su un punto dunque nessuno ha dubbi: da ieri un governo già poco robusto è ancora più fragile.