Ma il governo e la maggioranza stanno cercando di prendere una decisione sulla Tav oppure stanno cercando una via d’uscita che permetta ai 5S di cedere senza perdere troppo la faccia? Il dubbio è inevitabile dopo una giornata di puro delirio come quella di ieri. «Il supplemento d’analisi» consegnato dal professor Ponti rivede le spese messe nero su bianco nell’analisi costi-benefici approntata dallo stesso Ponti: da 7 miliardi a 3,5, e già questo basterebbe a trasformare la vicenda in cinema demenziale.

Su questa base viene dato per certo il semaforo verde del premier, che sembrerebbe aver chiesto apposta il supplemento, alla mini-Tav. Formuletta che non allude a un trenino giocattolo ma, come segnala la capogruppo di LeU al Senato De Petris, è pura presa in giro: la Tav è il tunnel-base. Senza di quello non c’è Tav, con quello non c’è miniatura che tenga.

MA DI BUON MATTINO Conte smentisce: «Nessuna apertura alla mini-Tav». Segue una abituale raffica di parole a vuoto: «La decisione verrà presa in totale trasparenza» e via non dicendo niente. Salvo chiarire che il supplemento che dimezza i costi non lo ha chiesto lui ma Toninelli. Proprio lui, il pasdaran anti-Tav? Il diretto interessato conferma, aggiungendo una spiegazione che moltiplica l’assurdità del quadro: «Per essere trasparenti abbiamo aggiunto un supplemento che però non è scientifico ma per creare dibattito».

Così, tanto per «creare dibattito»? Ma sa cosa sta dicendo? Sempre per contribuire al dibattito il Pd presenta una mozione di sfiducia contro Toninelli, a firma della capogruppo in commissione Trasporti Paita. L’accusa è di bloccare non solo il Tav ma «tutti i cantieri». C’è da sospettare che gli stessi parlamentari di maggioranza, se potessero, voterebbero di corsa la mozione, per affrancarsi dall’incubo delle dichiarazioni del ministro. Ma non possono e la mozione servirà solo a moltiplicare la pressione sui 5S.

LA TENSIONE CHE MARTELLA Toninelli è comunque già più che evidente. Il ministro sente che l’assedio si stringe e sbotta: «Ribadisco il mio no alla Tav senza alcun pregiudizio». Peccato che proprio nello stesso momento, da Versailles, il ministro dell’Economia stia dicendo il contrario. «Credo che il governo stia andando in quella direzione», afferma Tria rispondendo al collega francese Le Maire, che aveva appena spezzato l’ennesima lancia a favore della Tav. Non è che Tria, rimasto sino a pochi giorni fa in silenzio, sia stato preso da improvvisa passione per la tratta Torino-Lione.

E’ che sa, come sanno i vertici istituzionali e come probabilmente sa lo stesso Di Maio, che bloccarla non è più un’opzione praticabile, avendo contro l’Europa, gli industriali italiani, probabilmente la maggioranza dei cittadini del Piemonte e uno dei due partiti di maggioranza. Il costo sarebbe superiore a qualunque beneficio.

Infatti, di lì a poco, la ministra dei Trasporti francese Borne si lancia in un vero e proprio ultimatum: «Il momento è arrivato. Gli italiani devono dirci se vogliono continuare questo progetto. Abbiamo già detto che c’è il rischio che perdano i finanziamenti europei». Macron in persona rincarerà domani, in diretta su Rai1, intervistato da Fazio. A completare l’assedio arrivano il governatore del Piemonte Chiamparino, che conferma l’intenzione di indire una consultazione popolare se i bandi non partiranno in tempo per evitare la cancellazione dei contributi europei, entro l’11 marzo, e gli industriali italiani e francesi, con una dichiarazione congiunta di Confindustria e Medef, l’associazione degli imprenditori francesi.

I BANDI SARANNO LANCIATI in tempo. I 5S non possono permettersi di perdere i contributi europei e di affrontare un referendum in contemporanea con le elezioni europee e quelle regionali del Piemonte. Resta l’opzione pensata da Toninelli: far partire i bandi, intascare i fondi, poi revocare gli appalti e adoperare gli stessi fondi per qualche altra opera, magari il Fréjus. Se non fosse inserita nel quadro di questa sceneggiatura surreale, il solo mettere in piazza un’idea simile lascerebbe sbalorditi. La credibilità dell’Italia precipiterebbe sotto zero, gli investimenti esteri un po’ più in basso. Ma qui la farsa svela il suo lato drammatico. I 5S, a partire da Di Maio, sanno di dover cedere ma sanno anche di non poterlo fare perché la loro esasperata base esploderebbe. La Tav è una mina piazzata sotto il governo. Nessuno sa ancora come evitare che esploda.