Se qualcuno aveva pensato che l’offensiva di Confindustria contro il governo si fosse fermata aveva sbagliato i conti. Quella di Carlo Bonomi, agguerrito presidente eletto 100 forni fa, era solo una pausa estiva, interrotta peraltro da interviste a raffica rilasciate da vari dirigenti. Ora torna all’attacco Bonomi in persona e nella lettera inviata a tutti i presidenti delle associazioni confindustriali spara a zero sul governo. Il verdetto suona senza appello: «Tutti i provvedimenti messi in campo in questi mesi non hanno sciolto alcun nodo che imbriglia la crescita del Paese».

Come dire che sono stati buttati 100 miliardi, sprecati per assistere chi altrimenti non ce la avrebbe fatta a tirare avanti. Ovvio che Forza Italia, il partito che più di ogni altro ha mosso la medesima critica esulti e si schieri compatta impugnando tutte le richieste di Bonomi, a partire dalla fine del blocco dei licenziamenti. Un po’ meno ovvio il silenzio del governo, che tace e finge di non essersi accorto della dichiarazione di guerra. Proprio di dichiarazione di guerra invece si tratta. Puntigliosa. Articolata.

Farcita di critiche acuminate rivolte ai singoli ministri e alle distinte misure dell’esecutivo. I «bonus a pioggia». Gli «inutili stati generali». Gli aiuti alle aziende che in gran parte «non si sono ancora scaricati a terra e molte delle misure introdotte hanno efficacia solo per il 2020». L’accordo sulla banda larga che dimentica «il rovinoso falò di risorse delle partecipazioni statali». Il reddito di cittadinanza: «Bisogna smontarne l’attuale configurazione».

Di certo nel mirino del presidente degli industriali c’è l’obiettivo di condizionare tutte le future scelte del governo e in particolare l’utilizzo del Recovery Fund che per viale dell’Astronomia rischia «di essere scambiato per un bancomat illimitato per ogni tipo di misura». Ma la mèta più ambiziosa sarebbe la defenestrazione di questo governo e la sua sostituzione con un esecutivo guidato da Mario Draghi.

Bonomi lo cita due volte. La prima per confermare «l’incertezza del Paese» denunciata il 18 agosto scorso alla festa di Cl dall’ex presidente della Bce. La seconda per puntare il dito contro «l’ingiustizia fra le generazioni che accresce la frattura sociale, come ci ha ricordato Draghi e in molti hanno finto di applaudirlo».

Uno scontro frontale con gli industriali non è comunque cosa da poco per il governo. Rischia di diventare davvero deflagrante se Bonomi troverà una sponda aperta nella maggioranza. Nei mesi scorsi è stato Renzi a proporsi come referente degli industriali. Probabilmente lo sarà di nuovo in futuro. Proprio ieri il leader di Iv si è lanciato in un affondo come non se ne vedevano da mesi sul Mes: «Non prenderlo è un suicidio.

Se Conte lo chiede significa che vuole guidare l’Italia. Se non lo chiede vuole guidare solo i grillini». Non serve la sfera di cristallo per capire che il momento della verità, anche nel rapporto con Confindustria, arriverà per Conte quando dovrà decidere sul Mes.