Due ore di audizione al Copasir poi, con una scelta inedita, una conferenza stampa. Conte vuole chiudere il «caso Barr», fare chiarezza sugli incontri fra il ministro della giustizia americano venuto in Italia per conto dell’Fbi, sottolinea il premier italiano, a caccia di prove su presunte collaborazioni fra 007 Usa e altri servizi segreti al Russiagate, che Trump considera una «cospirazione». Per questo chiede informazioni, rivela Conte, sull’attività degli 007 italiani nel 2016.

AL CENTRO DELLA VICENDA il professore maltese Joseph Mifsud, collaboratore di George Papadopoulos, consigliere della campagna presidenziale di Trump. Per Trump Mifsud era un agente provocatore che voleva incastrarlo dimostrando lo zampino di Mosca nella sua elezione. Un «complotto» in cui settori dell’intelligence Usa avrebbero coinvolto colleghi in Inghilterra, Australia e magari Italia. Perché Mifsud è transitato a Roma, alla Link Campus University («Ma non ha fatto nemmeno una lezione perché è scoppiato lo scandalo ed è sparito», spiega Vincenzo Scotti, presidente dell’università).

UNA VICENDA INTRIGATA su cui Conte offre «la sua verità» al posto di quelle che definisce «ricostruzioni fantasiose». Il premier ha autorizzato gli incontri irrituali fra il ministro Usa e i nostri agenti segreti, finendo per apparire troppo accondiscendente con l’amico americano.

CONTE NON VUOLE lasciare correre altre ipotesi sul suo operato. Per questo chiarisce di aver voluto incontrare di sua volontà il Copasir, al quale semestralmente deve riferire in quanto responsabile dell’intelligence. Poi però vuole rendere pubblica, entro i limiti consentiti – l’audizione è coperta dal segreto di stato – la sua scelta di trasparenza, sulla quale insiste a più riprese. Anche per far risaltare l’atteggiamento opposto di Salvini sul caso Moscopoli.

CONTE USA PIÙ VOLTE la parola «falso» all’indirizzo delle ricostruzioni di stampa. La richiesta degli incontri per lo scambio di informazioni non risale ad agosto, ai giorni della crisi di governo, rivela, ma a giugno. E non gli arriva da Trump ma da Barr tramite «canali diplomatici», «lascio a voi valutare un’autorità americana che risiede a Washington a quale canale diplomatico fa riferimento», dice. Conte non va oltre, ma sembra riferirsi all’ambasciatore Armando Varricchio. Il premier vuole allontanare il sospetto di compiacenza verso il presidente Usa che lo ha chiamato affettuosamente «Giuseppi»: «Trump non mi ha mai parlato di questa inchiesta». Dunque Barr viene in Italia per verificare le mosse di «agenti americani di stanza a Roma che hanno operato su territorio italiano». Gli incontri sono due, il primo il 15 agosto scorso, il secondo il 27 settembre. «Ci poteva essere l’eventualità che avessero operato con i nostri servizi. Ma abbiamo verificato ed effettuato riscontri documentali nei nostri archivi». Se ci fosse stata una qualche collaborazione sarebbe «scattata una denuncia alla nostra autorità giudiziaria». Ma «è stato chiarito che non avevamo informazioni». La nostra intelligence «è estranea».

IL PRESIDENTE POI MOTIVA la sua scelta più contestata, quella di autorizzare gli incontri: «Con un rifiuto agli Usa avremmo arrecato un danno alla nostra intelligence». Ma tutto si è svolto in «piena correttezza» e «senza ledere nostri interessi nazionali».

A DIFFERENZA DELLA VICENDA del Metropol: «Rimango sorpreso che Salvini pontifichi quotidianamente sulla questione Barr», attacca, «Io ho chiarito, mi sorprende come Salvini non avverta la responsabilità di chiarire che cosa ci faceva con Savoini in incontri riservati da ministro dell’Interno a Mosca con le massime autorità russe».

ZINGARETTI E I 5 STELLE si dichiarano soddisfatti e passano al contracco su Salvini. Per la maggioranza il caso Barr è chiuso. O quasi: ai renziani non è sfuggito il passaggio di Conte sulle richieste Usa che riguardavano l’arco temporale fra la primavera e l’estate 2016, anno in cui a Palazzo Chigi c’era Renzi.