È stretta la via per portare in parlamento i Dpcm, i famosi decreti con i quali il presidente del Consiglio da tre mesi governa l’emergenza in prima persona, senza che sia previsto il controllo del Consiglio dei ministri, del Quirinale e appunto del parlamento. Ma una via governo e maggioranza l’hanno trovata, al termine di una giornata di spinte e contro spinte, compreso un vertice tra maggioranza, tecnici di palazzo Chigi e ministro D’Incà finito male. Poi la mediazione è arrivata e prenderà la forma di un emendamento al decreto legge numero 19 in via di conversione. Dopo lo stop ieri pomeriggio, imposto proprio dalle trattative in corso, stamattina nell’aula della camera partono le votazioni.

Il nodo era lì, impossibile da tagliare. Emendamenti identici della maggioranza (Ceccanti, Pd e De Filippo, Iv) e di Forza Italia chiedevano di sottoporre d’ora in poi lo schema dei Dpcm a un voto, non vincolante, delle camere, entro sette giorni. Un altro del radicale di +Europa Magi puntava a chiudere del tutto la fase dei Dpcm. Impossibile secondo il governo. «Serve rapidità», aveva spiegato Conte ai parlamentari la settimana scorsa. Ma dopo il pressing del Pd (e prima che Renzi lo accusasse di cercare «i pieni poteri») aveva concesso: «Il governo è disponibile a raccogliere indicazioni e contributi del parlamento». Che significa?

È proprio quello che andava definito ieri, in tempo per evitare problemi in aula (su questi emendamenti era possibile il voto segreto). Ma da palazzo Chigi e dal ministro D’Incà il primo segnale era di chiusura. Conte, del resto, malgrado le critiche di molti costituzionalisti e le polemiche della sua stessa maggioranza, considera corretto il percorso che ha seguito fin qui. Ha limitato libertà fondamentali con un atto di rango inferiore alla legge di sua esclusiva responsabilità, ma ha spiegato che ha rispettato la riserva di legge perché i Dpcm si inseriscono in un quadro disegnato dai decreti.

La mediazione trovata ieri è ispirata a quello che avviene in occasione delle comunicazioni del presidente del Consiglio prima delle riunioni del Consiglio europeo. In altre parole Conte illustrerà in aula i Dpcm ai quali evidentemente non vuole rinunciare. Il suo messaggio è chiaro: da qui alla fine di luglio, quando salvo proroghe si chiude il periodo di emergenza, ce ne saranno altri.

Il presidente della camera, il 5 Stelle Fico, copre il governo (a differenza della presidente del senato Casellati, Fi, che parla di parlamento marginalizzato). «Non sono d’accordo che il parlamento sia stato calpestato», ha detto ieri Fico. E al corrente della mediazione raggiunta tra governo e maggioranza ha poi aggiunto: «Tutti i famosi Dpcm saranno discussi in parlamento».

La soluzione prevede infatti che il presidente del Consiglio illustri in aula il contenuto del Dpcm e che le camere votino una risoluzione non vincolante sulle comunicazioni, come appunto succede prima delle riunioni del Consiglio europeo – almeno fino all’ultima volta, quando Conte si è limitato a una «informativa» senza voto. Un passaggio che però non ostacola l’emergenza: in caso di provvedimenti davvero urgenti la presentazione e il voto possono arrivare anche dopo la firma dei Dpcm.

La soluzione soddisfa Iv, che aveva chiesto a Conte di spiegare in aula i sui provvedimenti «piuttosto che in diretta facebook», e anche il Pd che con il vice segretario Orlando e il capogruppo Delrio aveva chiesto di chiudere la fase dei Dpcm. Il fatto che sia adesso comunque previsto un voto potrebbe suggerire al presidente del Consiglio di dirottare sullo strumento legislativo tipico dell’emergenza, il decreto legge. Trovato l’accordo, la maggioranza può guardare senza preoccupazioni all’ostacolo della mozione presentata da tutte le opposizioni sul «caso Dpcm» ricalcando le critiche anche dei partiti al governo. Si voterà una mozione di maggioranza che ricalca l’accordo firmato ieri.