L’anno nuovo dovrebbe portare una soluzione della crisi di governo strisciante che va avanti da alcune settimane. «Non perdere tempo», ha avvertito il presidente Mattarella nel discorso alla nazione e dunque entro il 10 gennaio i due nodi che si intrecciano- Recovery Fund e composizione del governo- dovranno sciogliersi.

Come? In questi giorni i tecnici dei ministeri dell’Economia e degli Affari europei, con la supervisione dei ministri Pd Gualtieri e Amendola stanno revisionando la bozza del Recovery Plan dopo il giro di incontri coi partiti che si è concluso il 30 dicembre con Italia Viva. Un lavoro tecnico sui progetti ma anche molto politico, perché deve accontentare i desiderata di tutti e offrire a Renzi meno alibi possibili per scatenare la crisi con il ritiro delle due ministre.

LUNEDÌ 4 LA NUOVA BOZZA sarà sulla scrivania di Conte e, a quel punto, il premier si vedrà faccia a faccia con la delegazione di Italia Viva. Ci sarà sicuramente Maria Elena Boschi che in queste ore tiene i fili del dialogo, Renzi deciderà all’ultimo minuto. Se quell’incontro darà qualche spiraglio, la bozza del piano con relativo decreto dovrebbe arrivare in consiglio dei ministri il 7.

MA QUESTA ROAD MAP- seppur di pochi giorni- è sottoposta a molte variabili politiche che potrebbero condizionarla. Italia Viva aspetta che sia Conte a fare la prossima mossa e respinge l’idea che Mattarella – parlando dell’esigenza di «costruttori»- abbia voluto bacchettare proprio loro. «Più costruttori di noi non c’è nessuno, nel discorso del presidente non c’è alcun passaggio che metta in discussione il nostro lavoro», dice Ettore Rosato.

I renziani dunque aspettano risposte e possibilmente un faccia a faccia, insistono anche sulla rinuncia alla delega ai Servizi che il premier ha detto di voler tenere per sé. In realtà nell’incontro del 30 dicembre con Gualtieri e Amendola non ci sarebbe stato, dicono fonti di governo, quell’«abisso sui contenuti» di cui ha parlato Italia Viva. Anzi. Ma sulla richiesta di spendere tutti i 200 miliardi del Recovery in deficit aggiuntivo il Mef fa muro. «Il rischio è di far schizzare il rapporto debito-Pil e non ce lo possiamo permettere».

TUTTO STA DUNQUE alla volontà politica dei due duellanti, Conte e Renzi. E sulla possibilità o meno di arrivare a un Conte ter che piacerebbe anche a Pd e M5S, senza però precipitare il Paese in una crisi al buio e al rischio di elezioni anticipate.

«Non vedo a quali fini possa essere utile una eventuale crisi di governo nel momento in cui tra poche settimane l’Italia dovrà mandare progetti per 209 miliardi di euro da spendere nei prossimi sei anni», avverte il presidente dell’Emilia-Romagna Stefano Bonaccini, nel Pd uno dei più vicini a Renzi. «Mi auguro che una volta fatti i dovuti chiarimenti si possa trovare la ragionevole misura per ripartire».

Una moral suasion su Renzi ma anche su Conte e su Zingaretti che in queste ore non viene esercitata solo da Bonaccini. «In politica non è concesso il fatalismo, un capo si fa carico, non sta inerte, non delega la mediazione ai collaboratori ma assume personalmente l’iniziativa e la responsabilità», ragiona uno dei fondatori del Pd, Pier Luigi Castagnetti, molto ascoltato al Quirinale.

LE PAROLE DEL CAPO dello Stato non consentono spazio a ulteriori minuetti o guerre di posizione. «Aspettiamo risposte sul merito, se il premier continua con lo stesso atteggiamento i margini non ci sono», spiega una fonte di Iv, facendo capire che senza una intesa piena almeno sul Recovery le ministre Bellanova e Bonetti potrebbero dimettersi dopo la Befana.

A quel punto Conte potrebbe evitare l’immediato passaggio in Aula (in Senato i «responsabili» pronti a dare una mano scarseggiano), presentare le dimissioni al Colle e andare alle Camere per la fiducia con una nuova lista di ministri. Il Conte Ter, appunto. L’esito che quasi tutta la maggioranza sta perorando. Tranne Conte, che lo farà solo se costretto dai numeri.