Sulle spese militari Giuseppe Conte non molla. Lo dice ai suoi da giorni, da quando ha accolto con fastidio il voto a favore dei deputati grillini sull’ordine del giorno che impegna il governo a raggiungere il 2% del Pil. Lo assicura al gruppo 5 Stelle al senato, dove la sensibilità sul tema è più spiccata che a Montecitorio. Ne parla ieri pomeriggio nel corso di un incontro coi sindacati confederali: «Con quale faccia con caro bollette e caro benzina diciamo ai cittadini che ora bisogna dedicarsi alle spese militari? – sbotta Conte – Possiamo dirlo mentre in sanità rimandiamo un milione di interventi e 20 milioni di esami diagnostici?». Il primo risultato, complici anche i dubbi che circolano nella Lega, è che l’ordine del giorno non verrà al senato, quantomeno da forze che fanno parte della maggioranza, non verrà presentato.

La tensione sul provvedimento, e più in generale sulla guerra, si palesa anche alla camera. Dove Draghi alla vigilia del Consiglio d’Europa ribadisce la sua posizione sulla difesa europea e sull’impegno italiano a sostegno degli ucraini. Anche quest’oggi si contano numerose assenze tra i 5 Stelle. I vertici del gruppo sono costretti a sollecitare i colleghi via messaggini telefonici. Poi accade che nella votazione per parti separate sulle risoluzioni, ci si debba esprimere sul testo presentato dall’ex M5S (ora in Europa Verde) Cristian Romaniello contro l’aumento delle spese militari. La risoluzione cita proprio «il recente indirizzo espresso a stragrande maggioranza dal parlamento italiano di portare la spesa militare al 2 per cento del Pil, vale a dire circa 38 miliardi di euro l’anno, quasi il doppio dei 21,4 miliardi di euro speso nel 2019» e impegna l’esecutivo a rendere «più efficiente l’attuale ingente spesa militare, senza alcun ulteriore incremento che rischia di gravare ulteriormente sulle economie degli stati membri, già fortemente indebolite dagli effetti della pandemia da Covid-19». Il governo esprime parere contrario, ma il M5S, rimangiandosi il voto di una settimana prima e andando incontro alle posizioni di Conte, decidono di astenersi. Che la tensione stia ulteriormente salendo, e che ancora una volta incroci le divergenze tra Conte e Di Maio è confermato proprio dall’uscita del ministro degli esteri, che cerca di smorzare i toni «Conosco bene il M5S – dice Di Maio – Anche nei momenti difficili riesce sempre a trovare compattezza».

In serata, i senatori pentastellati incontrano il leader. Il quale tocca con mano che in questo ramo del parlamento le posizioni sono meno allineate a quelle del governo. C’è da risolvere il caso di Vito Petrocelli, con il presidente della commissione esteri che ha annunciato di non voler più sostenere il governo senza avere intenzione di dimettersi. Il decreto Ucraina arriverà a Palazzo Madama la prossima settimana, bisogna mettere dei paletti e stabilire fino a che punto il dissenso sulla gestione della crisi può spingersi in avanti. Lunedì e martedì prossimi, infine, tutti componenti dei comitati tematici del Movimento 5 Stelle incontreranno Conte. Sarà un’altra occasione per capire quanto sono profonde le divisioni interne.