Meno dodici giorni al voto per il Quirinale. Nel Movimento 5 Stelle si considera che c’è lo spazio per ritrovare il bandolo della matassa. Ma si teme che il fattore tempo possa diventare anche un fattore di pericolo, incrementare il caos e la sindrome da formicaio impazzito dentro alla quale rischiano di trovarsi i grillini, in mezzo alla campagna acquisti di Berlusconi (crescono le voci che danno il Cavaliere molto fiducioso sull’appoggio di una pattuglia di 5S). E così, oggi Giuseppe Conte parlerà all’assemblea congiunta dei parlamentari, tra i quali al momento si contano almeno una trentina di positivi al Covid.

Ieri, intanto si sono riuniti i deputati. Il capogruppo Davide Crippa ha assicurato «massimo coinvolgimento» del gruppo nella scelta del prossimo presidente. Ma a Montecitorio alcuni considerano che fare come al Senato, cioè chiedere esplicitamente il Mattarella Bis, sia un errore. «Tutti giocano la partita del Quirinale come una partita di poker e tengono le carte coperte», dice ad esempio Luigi Gallo. Da qui la richiesta, proveniente da diversi, che il leader abbia «pieno mandato» nella gestione delle trattative.

In verità, gli eletti sono paralizzati anche perché devono imparare a muoversi in uno scenario inedito. Non hanno più il vincolo/alibi delle scelte degli iscritti, essendo venuta a mancare l’infrastruttura ideologica prima ancora che tecnica sulla quale si reggeva l’idea di un gruppo parlamentare di meri esecutori di decisioni che venivano prese dalla base. E però molti sono riluttanti ad affidarsi alle decisioni del nuovo capo politico. Il quale si trova a gestire la partita più delicata della legislatura dall’esterno del parlamento, a distanza, dopo aver scelto di non concorrere alle suppletive per il collegio romano che era stato di Gualtieri. Potrebbe non essere sufficiente l’intenzione di coinvolgere nelle trattative l’apparato di oltre una dozzina di persone costituito dai vicepresidenti, ministri, sottosegretari, i capigruppo coi loro secondi e i referenti de comitati tematici considerati centrali (Chiara Appendino, Alfonso Bonafede, Gianluca Perilli e Fabio Massimo Castaldo).

La strada è stretta e l’unico punto di riferimento è la pretesa che non si interrompa la legislatura. Nonostante Danilo Toninelli, uno di quelli che rivendica maggiore coinvolgimento, assicuri che pur di fermare l’ascesa di Berlusconi al Colle i grillini accetterebbero anche il rischio di far saltare l’esecutivo. «Mille volte meglio che si rompa la maggioranza piuttosto che vedere Berlusconi presidente – dice Toninelli – Faremo di tutto perché non ce la faccia». D’altro canto, Toninelli esclude anche che la scelta possa ricadere su Draghi. «Vada avanti e provi a dimostrare di essere il migliore dei migliori come la stampa lo definisce», intima l’ex ministro.

Ma se davvero l’elezione del presidente della Repubblica dovesse mischiare le carte fino a far cadere il governo e richiedere la nascita di una nuova maggioranza e un nuovo esecutivo, in tanti sono pronti a giurare che si materializzerebbe uno degli scenari a cui sta lavorando Luigi Di Maio, che ormai dai contiani viene guardato con un sospetto che quasi tracima nell’ossessione: sarebbe l’ex capo politico a quel punto a poter essere indicato come premier di un governo di fine legislatura. Anche se una scelta del genere avrebbe i suoi costi: partorire la quarta maggioranza in cinque anni della quale fanno parte i 5 Stelle, avrebbe come esito nuovi abbandoni tra i parlamentari già in sofferenza per il sostegno a Draghi.