Giuseppe Conte si presenta da Gianni Letta già da leader del Movimento 5 Stelle, con piena libertà di manovra. Questa condizione non era affatto scontata. Ed è garantita da due macigni: il primo è l’investitura di Beppe Grillo, che ha bisogno dell’ex presidente del consiglio per completare la mutazione della sua creatura politica. Il secondo è la consapevolezza di tutti i colonnelli, e anche del capo politico «in sonno» Luigi Di Maio, che senza il nuovo leader il M5S è destinato a implodere.

Conte è al corrente di queste condizioni, ma sa anche che eredità un oggetto in bilico, difficile da maneggiare e pieno di mine inesplose. Per questo non ha ancora sciolto formalmente la riserva e non è ancora il comandante sul campo. L’annuncio verrà dato dopo pasqua, insieme ad alcune proposte di riorganizzazione interna, che già stanno avvenendo sul piano per i grillini cruciale della gestione della comunicazione. I diktat di Grillo su come devono essere gestite le ospitate dei suoi in televisione sono evidentemente più note di colore che atti cogenti, ma dietro queste cose si nasconde il lavoro per smantellare le strutture di comunicazione che potrebbero costituire grumi di potere indipendente dal fondatore e dal neo-leader.
Prima della discesa in campo ufficiale, comunque, si spera di fare maggiore chiarezza sul macigno del rapporto con la piattaforma di Davide Casaleggio, cassaforte telematica del database degli iscritti oltre che centrale operativa fino ad oggi per diverse funzioni (non solo le votazioni online ma anche la verifica dei requisiti per i candidati, solo per fare un esempio). Grillo spingeva per una mediazione, Conte si starebbe convincendo anche sulla spinta degli eletti alla camera e al senato che bisogna andare verso il divorzio. «Certamente non si può consentire a un privato di tenere bloccata la prima forza politica del parlamento italiano», è la voce che trapela. E ieri di nuovo sono partite accuse incrociate sulla gestione dei soldi, sui crediti residui e sugli impegni che ancora vincolerebbero i 5 Stelle a Rousseau.

«Mi auguro che prevalga il buon senso – dice ad esempio Stefano Patuanelli – Ma se si continua a dire che il M5S deve 450 mila euro a Rousseau, è difficile che vi sia una alternativa, dato che il M5S non ha mai avuto un conto corrente, non ha mai avuto un’entrata e quindi non può avere contratti giuridicamente vincolanti con chicchessia». C’è un segnale oggettivo che sembra un preludio alla separazione: il tesoriere del M5S Claudio Cominardi ha aperto un conto corrente dove confluiranno i soldi che, da mesi ormai, i parlamentari pentastellati hanno smesso di versare all’Associazione di Casaleggio.

La misura estrema, ma ormai nel novero delle ipotesi, è il cambio di simbolo. Da tempo circola il brand 2050, come proiezione nel futuro dell’impegno del nuovo corso grillino. Ieri è stata annunciata la nascita dell’associazione Italia Più 2050, che rappresenta «la naturale evoluzione» di Parole Guerriere, la corrente animato dalla deputata M5S e adesso sottosegretaria al Sud Dalila Nesci. Il nuovo progetto «si muoverà nel solco tracciato da Beppe Grillo per il Movimento 5 Stelle guidato da Giuseppe Conte», spiegano. Crescono le adesioni tra i parlamentari, adesso sarebbero una quarantina, che insieme a figure di primo piano come Giuseppe Brescia, Luigi Gallo o Carlo Sibilia si riconoscono nella prima componente che ha espresso chiaramente l’esigenza di dotarsi di una struttura più tradizionale, vicina ai partiti, e dare vita a forme di democrazia interna.