Da «casta» a «termometro della democrazia», da «pennivendoli» a «costante stimolo della classe politica». Anche dal discorso del presidente del consiglio Giuseppe Conte a Montecitorio si intuisce che lo sguardo sui «professionisti dell’informazione» è cambiato, in questa seconda fase del governo a 5 Stelle, almeno nelle intenzioni. Lo si capisce di più però dal fatto che raramente prima d’ora, nella costituzione di un nuovo esecutivo, era stata data tanta importanza alla delega all’Editoria e si era assistito ad un tale lavorio da parte degli sherpa dei partiti per incastrare – nell’esercito dei 45 sottosegretari (è il numero massimo possibile) – in particolare le nomine di coloro che guideranno le Comunicazioni e l’Editoria, rispettivamente dal sottogoverno del Mise e della Presidenza del consiglio dei ministri.

Un cambio di registro sollecitato per l’ennesima volta dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella e caldeggiato dalla componente di centrosinistra del Conti bis, che preme per superare quella che potremmo chiamare «l’era del consenso basato sulle fake news».

«Questo governo – ha giurato Conte chiedendo la fiducia ai deputati – sarà anche particolarmente sensibile nella promozione del pluralismo dell’informazione. Ringrazio, in proposito, la stampa, per il suo insostituibile ruolo di termometro della democrazia: la garanzia di un’informazione libera, imparziale e indipendente è uno dei nodi nevralgici che definiscono l’affidabilità e la tenuta del nostro Paese e delle sue istituzioni». Dai banchi del centrodestra si alzano urla di protesta, e il motivo è evidente: nei 14 mesi in cui il M5S ha tenuto in mano il pallino dell’editoria, la Lega ha dovuto assumere, suo malgrado, il ruolo di garante della libertà di stampa e tenere a freno il sottosegretario Vito Crimi e quei grillini che dei giornalisti sembrerebbero fare volentieri a meno.

Ma evidentemente Conte vuole mostrarsi disposto a mettere un punto: «La qualità del dibattito democratico – ha aggiunto infatti – dipende, per buona parte, dal contributo critico che viene offerto ai cittadini tramite i mezzi di comunicazione. Confido che i professionisti dell’informazione possano svolgere un’opera di costante stimolo affinché tutti gli esponenti della classe politica si concentrino sempre più sul merito delle questioni piuttosto che sulle polemiche verbali».

Come a dire che se il nuovo governo è intenzionato a parlare una «lingua mite», stavolta, dovrà accettare anche di buon grado il ruolo del giornalismo, e il peso che hanno le testate “scomode” (per contenuti e per modello di gestione). Quelle che Vito Crimi vorrebbe gettare in pasto al «libero mercato» delle news. E allora, «è necessario che il presidente Conte sia consequenziale, che passi dalle parole ai fatti», commenta Raffaele Lorusso, segretario nazionale della Fnsi. «Ci aspettiamo – aggiunge – che voglia assegnare la delega all’Editoria nel segno della massima discontinuità rispetto alla precedente esperienza e certamente non all’insegna della moltiplicazione dei tagli alla stampa ma nel segno invece dell’attenzione a un settore che non solo in Italia è alle prese con una crisi strutturale che per essere superata ha bisogno del sostegno pubblico, per i processi di ristrutturazione e per sostenere il lavoro».

I nomi che circolano da giorni sono diversi. Sembra però certo che spetti al Pd la scelta del nuovo responsabile dell’Editoria (a meno che Zingaretti non decida di mollare l’osso al tandem Di Maio/Crimi pur di aggiudicarsi la delega alle Comunicazioni del Mise). Secondo le ultime “quotazioni”, in pole position dem ci sarebbero Andrea Martella, coordinatore della segreteria di Zingaretti e molto vicino all’ex ministro della Giustizia Andrea Orlando, e il deputato Walter Verini, attuale commissario del Pd in Umbria. Ma tra i “renziani” emergono anche i nomi del senatore potentino Salvatore Margiotta, e dell’ex sottosegretario alla Giustizia Gennaro Migliore. Rimane però sempre in gioco l’alternativa del “tecnico” Roberto Chieppa, fedelissimo di Conte e attuale segretario generale di Palazzo Chigi.

«Chiunque sarà, vorremmo solo che avesse ascoltato i ripetuti appelli del capo dello Stato contro tagli e bavagli – si augura Giuseppe Giulietti, presidente della Fnsi e fondatore di Articolo 21 -. Qualcuno che non abbia come obiettivo una riforma da varare solo dopo aver ucciso l’Avvenire e il manifesto».