Battesimo riuscito quello di Giuseppe Conte alla festa nazionale dell’Unità a Modena. Il premier arriva poco prima delle 21, accoglienza educata ma tiepida, poi il clima si scalda un poco col procedere dell’intervista condotta da Maria Latella. E alla fine ci sono pure i slselfie coi militanti, le grida di incitamento e la classica cena con tortellini e Lambrusco. Gli applausi arrivano, soprattutto quando il premier difende il governo da possibili ricadute delle regionali: «Rimpasto è un termine logoro, non ci faremo dettare l’agenda ce chi lo auspica o ne scrive». E ancora: «Anche se ci sarà una sconfitta delle forze di maggioranza nelle regioni il governo ha l’obbligo morale di portare a termine il piano di ricostruzione». Un punto fermo, evidentemente apprezzato dalla pragmatica base del Pd emiliano, che non va in sollucchero per l’avvocato del popolo ma lo accetta come male minore rispetto a un possibile governo della destra sovranista. Una sorta di replay del “rospo” Lamberto Dini, sostenuto dai Ds a metà anni Novanta.

APPLAUSI ANCHE QUANDO descrive gli sforzi fatti per riaprire le scuole («Entro fine ottobre ci saranno tutti i banchi nuovi») e quando si sforza di puntellare l’alleanza giallorossa: «La linea strategica deve essere quella del dialogo anche a livello locale, senza parlare di alleanze organiche serve una prospettiva politica più duratura, altrimenti di fronte a un centrodestra unito la sfida è impari». Quasi una risposta a Nicola Zingaretti, il padrone di casa che gli manda un «abbraccio virtuale», e che negli stessi minuti su La7 spiega che per andare avanti «dobbiamo costruire una nuova visione dell’Italia , altrimenti continuare a governare solo per occupare il potere non ha senso». Conte loda Zingaretti dal palco della festa, «persona leale, ci sentiamo spesso, mai state incomprensioni tra noi», ma sul nodo dell’utilizzo del Mes non gli risponde: «Sono laico, non me la sento di dire un sì o un no, se servirà ne discuteremo in Parlamento». Risponde invece alle sollecitazioni arrivate dal Colle, e dallo stesso Pd, sul Recovery Plan: «Non siamo in ritardo, entro metà ottobre arriveranno le linee guida, ci sarà un’idea di Paese, no a disperdere i soldi in mille rivoli».

Gelo dalla platea quando ribadisce che, chiunque vincesse le elezioni Usa, per l’Italia e l’Europa poco cambierà. Non va a centro neppure la gag finale, con la domanda se gli sia mancato Salvini: «Non può mancare a nessuno, visto che parla così tante volte al giorno».
La giornata per la maggioranza non è stata semplice. Con uno scontro tra Zingaretti e il capo dei 5 stelle Vito Crimi, che ha detto che l’eventuale sconfitta alle regionali sarà un problema del Pd, «visto che noi non governiamo nessuna regione». «Veramente loro presentano candidati ovunque che non riescono mai neanche ad essere eletti», la replica gelida di Zingaretti, che poi ha rincartato: «Un errore assoluto non fare alleanze, chi l’ha voluto pagherà un prezzo». E ancora, rivolto a Di Maio: «Lui parla del referendum come taglio dei costi? E chissenefrega. Non lascio il campo di una mia riforma a loro, la riduzione dei parlamentari è sempre stata nella storia del Pd, e col Sì si apre il cantiere delle riforme».

CONTE COME SUO SOLITO si chiama fuori dalla disputa: «Voto disgiunto alle regionali? Ho fatto un invito al dialogo pur sapendo che era difficile. Ma non poso intromettermi e meno che mai dare indicazioni di voto». A Modena cerca di spazzare via l’idea di un governo dei rinvii- accusa arrivata anche dal Pd- e snocciola i vari dossier con una battuta: «Possibile che tutti questi dossier aperti aspettassero proprio per me per essere risolti? E comunque li stiamo risolvendo tutti…». E dunque, «avremo la rete unica entro 3-4 anni», su Alitalia «vogliamo preservare una compagni di bandiera ma non deve essere un carrozzone di Stato», su Autostrade «i contratti erano inqui e a sfavore dello Stato, siamo stati testardi fino alla morte perché Atlantia non voleva neppure sedersi al tavolo. Ora avremo autostrade più efficienti e tariffe più basse».

SUL RECOVERY PLAN coi suoi 209 miliardi in arrivo ribadisce: «Non sono qui per ascoltare qualche lobby, mi sentirò appagato solo quando li avremo spesi tutti». «Se mi sento a casa mia qui? Gli applausi sono stati belli, sentiti e calorosi», il pensiero del premier. Non fa a tempo a lasciare la festa che Di Maio lo gela sul Mes: «Da parte nostra non c’è nessuna apertura».