A giudicare dall’ottimismo euforico che si respirava ieri sera nelle sale della maggioranza si dovrebbe concludere che il premier ha la vittoria in tasca nella sfida politica più difficile dall’estate 2019. I responsabili ora si chiamano «costruttori», che suona meglio, ma il concetto non cambia e secondo pareri unanimi ci sono e il drappello è tanto nutrito da garantire a Giuseppe Conte anche a palazzo Madama la maggioranza assoluta: 161 voti. In questi casi non si può mai dire sino all’ultimo momento. Ieri i leader del centrodestra in persona si sono attaccati al telefono chiamando direttamente i loro senatori per frenare le defezioni. Ma se un tipo prudente come Dario Franceschini si espone assicurando che «i costruttori ci sono» un motivo probabilmente c’è. Ce sono anzi 15: tanti i senatori su cui i 5 Stelle sono certi di poter contare «con tanto di nome e cognome», e tra questi ben 6 proverrebbero da Italia viva. Almeno un caso sembra confermato ufficialmente e non si tratta di un nome qualsiasi: Riccardo Nencini, leader del Psi e titolare del simbolo che permette a Iv di avere un gruppo pur non essendosi presentato alle elezioni. Dirama un comunicato con il segretario Maraio: «Questo è il tempo dei costruttori. Noi siamo tra i costruttori». Se, come tutto indica, il leader del Psi mollerà Matteo Renzi, l’ex premier si ritroverà senza più gruppo. Homeless. Non solo una sconfitta: una disfatta.

IL VOTO GIUSEPPE CONTE, che non si è dimesso e non si presenterà in aula da dimissionario, lo chiederà solo se sarà certo di avere la fiducia in tasca, lunedì alla Camera e martedì al Senato. In caso contrario, dopo le comunicazioni, si recherà al Colle per dimettersi. A quel punto partirà la giostra delle consultazioni e comunque ci sarà un po’ di tempo in più per radunare costruttori. Il premier contava di avere comunque qualche giorno in più a disposizione. L’idea iniziale era di aspettare il voto sullo scostamento di bilancio, mercoledì, e solo il giorno seguente parlamentarizzare la crisi. L’opposizione è insorta. Voleva Conte in aula già stamattina e meglio ancora ieri pomeriggio. Iv, dopo aver assicurato di essere d’accordo su questa agenda, ha cambiato idea e si è schierata con la destra. «C’è ancora una Costituzione o un dpcm la ha cancellata?», cinguettava il capo dei senatori Davide Faraone. In queste condizioni il presidente Sergio Mattarella e lo stesso Conte hanno concordato sull’opportunità di anticipare i tempi.

AL QUIRINALE IL PREMIER si è recato anche ieri e ha concordato il percorso con il capo dello Stato. Ha scelto di non dimettersi assumendo l’interim dell’Agricoltura, mentre per il ministero senza portafogli della Famiglia e Pari opportunità non ce n’era bisogno. Se otterrà la fiducia sostituirà le due ministre ma senza rimpastare oltre il governo. Conte bis era e Conte bis resterà: «Crisi rientrata» sul modello della sfiducia mancata di Gianfranco Fini contro Silvio Berlusconi nel 2010. Probabilmente a giustificare la scelta di non dar vita a un nuovo governo nonostante il cambio di maggioranza è il fatto che all’origine la fiducia al secondo Conte era stata data solo dai tre partiti che la confermeranno.

IERI MATTINA LA SCELTA dello scontro frontale era ancora in forse. Conte era deciso ma il Pd, sino alla sera prima, era di parere opposto, insisteva per lasciare uno spiraglio aperto al rientro di Matteo Renzi, purché accettasse la premiership dell’«avvocato del popolo». A ostruire la strada per primi sono stati i pentastellati con un Luigi Di Maio durissimo: «Con Renzi le strade sono definitivamente divise». Tra i democratici prevale stessa linea. La posizione di chi vorrebbe provare a ricostruire questa maggioranza viene travolta: «L’inaffidabilità di Iv mina la stabilità in qualsiasi scenario si possa immaginare», sentenzia il segretario. Sipario. Capitolo chiuso. Significa che, se i costruttori non dovessero materializzarsi, resterebbe aperta solo la via delle elezioni, essendo esclusa dallo stesso Nicola Zingaretti una maggioranza con la destra.

LE COSE SONO MENO semplici. Il Quirinale considera impossibili elezioni prima di giugno, dunque sarebbe comunque necessario un nuovo governo e a quel punto chissà se votare a giugno si rivelerebbe ancora possibile o almeno consigliabile. Qualche ostacolo si presenterebbe anche nell’ipotesi per Conte più rosea, soprattutto se a sostenerlo dovesse essere, come alcune voci in libertà sostengono, un nutrito drappello di transfughi da Forza Italia. Ma con tutte le spine, se i costruttori arriveranno davvero i brindisi martedì saranno numerosi e nessuno ovviamente alzerà il calice più di Giuseppe Conte.