Due ore a palazzo Chigi, faccia a faccia col vincitore, poi un colloquio con lo sconfitto, in attesa di ricevere oggi una praticamente certa reinvestitura firmata Rousseau, poi Giuseppe Conte sale al Colle con la lieta novella: «Si può proseguire con l’esperienza di governo». Lo hanno assicurato sia Salvini che Di Maio, anche se il secondo ancora non può prendere impegni di sorta, in attesa del giudizio di oggi. In effetti il capo leghista conferma di fronte ai suoi parlamentari poco dopo. Con una postilla che suona come un’ipoteca precisa sulla scelta grillina di oggi: «Sempre che non passi la linea Di Battista». Perché in quel caso, col guerrigliero al comando, di strada di fronte il governo non ne avrebbe più.

«A SALVINI HO DETTO chiaramente che il premier sono io e l’agenda del governo la detto io», giura Conte. Salvini concorda. Salvo poi dettare lui l’agenda e anche qualcosina in più. L’elenco dei provvedimenti che Conte è incaricato di mettere nella «sua» agenda è quello noto: autonomie, Tav, Flat tax, riforma della giustizia, ma anche ulteriore sblocco dei lavori pubblici. Già che ci si trova il leghista mette bocca anche sulla composizione del governo. Non rivendica nuovi dicasteri, ma un paio di ministri preferirebbe di gran lunga vederli sostituiti, se non da esponenti del Carroccio almeno da facce meno sgradite. Uno è Toninelli, il ministro delle Infrastrutture, l’altra la Trenta, ministra della Difesa.

Pur senza dire ancora l’ultima parola, trattandosi di incontri interlocutori in attesa del sospirato vertice di maggioranza e poi del primo consiglio dei ministri post-voto, Conte si mostra ottimista. Progetta anche una sorta di battesimo ufficiale della sua nuova fase, forse in Parlamento, più probabilmente con una conferenza stampa dopo la riunione chiave del governo: una lista dei provvedimenti in cantiere con tanto di cronoprogramma.

DELLE TANTE MINE pronte a esplodere lungo il sentiero del governo, il premier non parla. Evidentemente è convinto che la volontà politica possa risolvere tutto. Se è vero lo si potrebbe iniziare a capire già oggi, se il sottosegretario leghista Rixi sarà condannato. Per i 5S cedere e accettare di lasciarlo al suo posto è impossibile. Ma Salvini, probabilmente, cederà. Fa fede il contratto e non può essere lui, che proprio sul contratto conta per imporre le sue leggi, a violarlo per primo. Inoltre concedere una vittoria ai 5S invece di umiliarli sembra una buona mossa: nelle prossime settimane dovranno masticare amaro. Permettergli di segnare il punto su Rixi potrebbe essere utile. Tanto più che Salvini il suo primo scalpo potrà sbandierarlo già dopo il prossimo cdm: l’approvazione del suo dl sicurezza, dopo l’accettazione di tutte le modifiche chieste dal capo dello Stato, è certa.

C’è un capitolo in più che inevitabilmente Conte deve affrontare con Mattarella. La lettera di Bruxelles è arrivata ed è una missiva minacciosa. Segnala che «l’Italia non ha fatto progressi sufficienti verso il rispetto della regola del debito nel 2018». La commissione attende, entro 48 ore, una lettera di risposta, con tanto di chiarimenti su quali «fattori rilevanti» abbiano impedito di raggiungere l’obiettivo e su come l’Italia intenda tamponare la falla. Di fatto è la richiesta di una manovra aggiuntiva, anche se per ora la commissione non ne quantifica la portata. In caso di risposta insoddisfacente, il 9 luglio la riunione dei ministri Ecofin potrebbe far partire la procedura per debito: un commissariamento per 5 anni che comporterebbe una vera e propria guerra tra Roma e Bruxelles, essendo per Salvini, ma anche per Di Maio, impensabile l’accettazione del commissariamento. Significherebbe perdere il controllo su ogni scelta economica.

A RISPONDERE SARÀ TRIA e lo farà con grande diplomazia, mostrando disponibilità senza sfidare la commissione. Tra le ipotesi in campo il dirottamento sul buco da colmare dei due miliardi già congelati, ma anche dei risparmi previsti sulle spese per il reddito e per quota 100. Si tratterebbe di un altro paio di miliardi. Con una commissione in scadenza, dunque non in condizione di scatenare un conflitto pericoloso per l’Europa già alle prese con il caos Brexit e non solo per l’Italia, la strategia del ministro dell’Economia potrebbe avere successo. Sempre che i toni concilianti non siano smentiti da ruggiti salviniani, e non a caso ieri il ministro degli Interni è stato attento a frenare la lingua, o da idee bizzarre come quella del pentastellato Paragone, che propone di sostituire Tria proprio con Salvini, forse non rendendosi conto di delegittimare così il ministro dell’Economia nel momento peggiore.