Il caso va chiuso. Luigi Di Maio arriva a palazzo Chigi, per la riunione del consiglio dei ministri, convinto che non si possa aspettare oltre per definire la posizione del sottosegretario leghista Armando Siri. Il premier Giuseppe Conte aveva fatto la sua mossa nella notte tra lunedì e martedì. Una richiesta amara ma ricoperta di zucchero rivolta direttamente a Siri dopo il colloquio a lungo atteso tra i due: «Fai un passo di lato. Dimettiti con il mio impegno a reintegrarti immediatamente se non sarai rinviato a giudizio». Siri non risponde. Non accetta. Non rifiuta. Delega al capo, a Matteo Salvini. E mentre il capo decide, l’ordine, in tutte le scuderie della maggioranza, è quello di tenere chiusa la bocca.

Dopo giorni di dichiarazioni una più fragorosa dell’altra, al momento della verità tutti tacciono. Circolano indiscrezioni sull’irritazione di Di Maio a fronte di possibili soluzioni pasticciate partorite dall’avvocato di palazzo Chigi. Se davvero c’è stata alta tensione, più che sulla formula con la quale indorare se del caso le dimissioni, ribattezzandole «sospensione», è stata sui tempi. Perché Conte, mediatore per vocazione e pacificatore per professione, non ha fretta di chiudere. Non al prezzo di una scontro dalle conseguenze incalcolabili tra i ministri gialli e quelli verdi, ai quali potrebbe persino aggiungersi Tria che si è già detto contrario alle dimissioni. Nel pomeriggio il presidente del consiglio rilascia una dichiarazione dal significato chiaro, pur se formalmente rivolta solo ai giornalisti ansiosi: «Dovete essere pazienti e non tirarmi per la giacca. Quando avremo raggiunto una soluzione convocheremo una conferenza stampa».

Se per evitare la guerra bisogna rinviare di qualche altro giorno, fino alla sospirata deposizione di Siri di fronte al pm, Conte è pronto ad attendere. Tanto più che il tempo sembra giocare a favore delle dimissioni, se si deve dar credito alle indiscrezioni che la procura fa filtrare e che alludono a altri scambi oltre a quei 30mila euro di cui si era sin qui parlato. Ma i 5S hanno fretta. L’immagine, in una storia fortemente condizionata dalle esigenze della propaganda elettorale, è tutto e il trascinarsi della vicenda per giorni e giorni non è quanto di meglio ci si possa attendere in termini di immagine. Sulla conclusione nessuno ha dubbi, ma più tardi ci si arriva e peggio è per gli interessi dei 5 Stelle.

Salvini, il solo che potrebbe sbloccare la situazione, è scuro e indeciso. Per la prima volta dalla nascita del governo nel caso Siri ha dato spesso l’impressione di aver perso calma e lucidità. Ha commesso errori di valutazione finendo per ritrovarsi in un vicolo cieco dal quale ora non sa come uscire. Se davvero dovessero venire fuori nuovi elementi a carico del sottosegretario, la sua difesa a spada tratta degli ultimi dieci giorni gli si ritorcerebbe contro. Ci si mette di mezzo anche una coincidenza che sconsiglia la battaglia. I dati di ieri su produzione e occupazione per il governo sono una carta vincente. L’economia va a rilento, certo, ma senza recessione e dopo mesi di accuse centrate proprio, con poca prudenza, sulla recessione il dato è prezioso, così come quello sulla disoccupazione giovanile in calo. Mettere a rischio il governo per una vicenda di corruzione proprio quando sul fronte più delicato, quello dell’economia, ci sarebbe un asso da calare non sarebbe compreso facilmente dagli elettori.

D’altra parte, però, la Lega si è spinta troppo avanti nella difesa di Siri per mollare il sottosegretario senza pagare un prezzo politico.

Il premier e i vice, a Tunisi si evitano per tutta la mattina. Poi però si ritrovano intorno al tavolo da pranzo e le pietanze politiche sono solo due: le nomine di Bankitalia e la sorte di Siri. Per quanto riguarda il direttorio, la tentazione è quella di dare il gradimento solo ad alcune delle nomine decise dal governatore Visco. Si creerebbe così un caso che coinvolgerebbe direttamente il Colle. Mattarella potrebbe accettare infatti il verdetto del governo ma anche ignorarlo, essendo il parere dell’esecutivo non vincolante. Si configurerebbe un braccio di ferro istituzionale e prima di addentrarsi in una simile giungla la trojka di palazzo Chigi deve valutare bene le proprie mosse. Su Siri la soluzione, a fine pranzo, ancora non è stata trovata. Salvini rilascia una dichiarazione rassicurante: «Per me e la Lega il governo va avanti». Ma il gelo resta e la tentazione di Salvini è rispondere subito colpo su colpo mettendo sul piatto della bilancia il nodo autonomie. La notte del consiglio dei ministri promette di essere lunga.