Siamo sul plateau, spiegano gli esperti, non sul picco. Infatti la discesa non è ancora iniziata. Anzi, ora si procede in saliscendi. Salgono i nuovi contagi in 24 ore, quasi 4800 e 700 in più rispetto al giorno precedente. E, guarda caso, crescono anche i tamponi, tornati quasi a 35 mila test effettuati in un giorno. Scende invece il numero delle vittime, che nella giornata di ieri sono state 727, un centinaio meno di martedì. In totale sono 13155. Soprattutto, rallenta l’aumento dei ricoverati: in un giorno sono stati occupati 223 letti in più, 12 dei quali in terapia intensiva. Ma è una somma di segni più e segni meno: in alcune regioni i reparti si svuotano, in altre continuano ad accogliere pazienti. Tutto sommato, le cifre sono in linea con le attese. Da dieci giorni il numero di nuovi casi non supera il massimo toccato il 21 marzo con oltre 6500 persone positive. Anche il numero delle vittime, che sconta un necessario ritardo rispetto all’andamento dei nuovi contagi, oscilla intorno agli stessi valori da allora senza impennate. La discesa si annuncia lenta e accidentata.

IN QUESTO PERIODO sarà fondamentale la comunicazione pubblica affinché alla popolazione arrivino messaggi chiari. Non è andata così con l’apertura alle passeggiate con i bambini contenuta in un chiarimento del ministero degli Interni di martedì. La circolare ha scatenato l’ira dell’assessore lombardo al Welfare Giulio Gallera, che l’ha giudicata «folle, insensata e irresponsabile», seguito a ruota dai governatori di Campania e Sicilia. Di prima mattina è arrivato il chiarimento del chiarimento: «Le regole sugli spostamenti per contenere la diffusione del coronavirus non cambiano», si legge nella nota. «Si può uscire dalla propria abitazione esclusivamente nelle ipotesi già previste dai decreti del presidente del Consiglio dei ministri: per lavoro, per motivi di assoluta urgenza o di necessità e per motivi di salute». Corre ai ripari anche il capo della Protezione Civile Angelo Borrelli incontrando i giornalisti: «Dobbiamo stare a casa ancora e rispettare il distanziamento sociale, che ci sta portando a risultati positivi».

OLTRE ALLE CIRCOLARI, anche i numeri ufficiali appaiono poco chiari. A chi adombra che i ricoveri in terapia intensiva non crescano più perché sono finiti i letti, Borrelli risponde: «Non abbiamo alcuna segnalazione di persone che non sono riuscite ad entrare in terapia intensiva». Ma ammette che continua l’esodo dei malati più gravi fuori dalla regione Lombardia, un’operazione complessa che non si spiegherebbe se ci fossero letti disponibili. 103 pazienti sono stati trasferiti finora, 30 dei quali in Germania, il Paese in Europa con il rapporto più favorevole tra letti in terapia intensiva e popolazione.

ANCHE UN’INCHIESTA del quotidiano locale L’Eco di Bergamo sulle reali dimensioni del contagio nella zona più «rossa» di tutte mette in evidenza le falle del sistema informativo. Insieme all’agenzia InTwig, il giornale ha censito i morti registrati a marzo 2020 in 91 dei 243 comuni della provincia bergamasca. I decessi in più rispetto allo stesso periodo del 2019 si possono attribuire praticamente tutti al Covid-19. Secondo le anagrafi comunali, le morti di troppo sono 4500. Ma nei dati della Protezione Civile, le vittime di Covid-19 ufficialmente sono solo 2000.

«Nulla sappiamo degli altri 2500», scrive l’autore dell’inchiesta Isaia Invernizzi. «Molti sono anziani, morti nel letto di casa propria o nelle residenze sanitarie assistite. Nonostante i sintomi inequivocabili, come riportano le testimonianze di medici e familiari, non sono stati sottoposti a tampone per accertare la positività alla malattia. Sul certificato di morte si legge solo ‘polmonite interstiziale’». Applicando il rapporto tra morti e contagi che si osserva negli altri Paesi, il numero di persone infette sarebbe stimato a 288 mila persone, oltre trenta volte più degli 8 mila casi registrati alla Protezione Civile. Significa che nella provincia di Bergamo un residente su quattro ha incontrato il coronavirus.