28.541 casi positivi e 182 mila tamponi. I dati sul contagio da coronavirus sono sostanzialmente gli stessi di sabato scorso. La curva epidemica non è tornata oltre le trentamila unità come si temeva. La percentuale dei test positivi è persino inferiore rispetto ai giorni scorsi, riportandosi intorno al 15%. Ma le buone notizie finiscono qui. I decessi registrati ieri sono stati 353, mai così tanti dal 6 maggio e sui livelli di un giorno medio di fine aprile. In terapia intensiva sono ricoverati 2.225 pazienti, cioè oltre duecento più di un giorno prima.

Di per sé, il rallentamento della crescita dei casi positivi non è in contraddizione con l’accelerazione dei ricoveri in terapia intensiva e dei decessi: l’impatto sui pazienti con sintomi più gravi, infatti, avviene con alcune settimane di ritardo e l’impennata di decessi e ricoveri potrebbe essere la conseguenza dell’accelerazione delle scorse settimane. Ma i numeri assoluti contano: 2.225 pazienti in rianimazione rappresentano più o meno la soglia che il governo si era dato prima di nuove misure restrittive, e i tempi in effetti coincidono con le proiezioni peggiori.

L’AUMENTO DELLE VITTIME inizia a farsi sentire anche sui dati della mortalità generale. Uno studio del ministero della Salute e del dipartimento di Epidemiologia della Regione Lazio dimostra che in alcuni centri urbani il numero dei decessi nel mese passato si era già innalzato sensibilmente dalla media giornaliera degli anni passati. «Si evidenzia un eccesso significativo della mortalità nella prima metà di ottobre a Bolzano, Venezia, Genova, Roma e Frosinone» scrivono i ricercatori. «Nell’ultima settimana rispetto al dato di due settimane precedenti si osserva nella classe degli ultra-ottantacinquenni un incremento della mortalità superiore al 50% a Milano, Torino e Palermo, mentre a Genova l’incremento osservato è soprattutto a carico della classe di età 75-84 anni».

UN ALTRO RAPPORTO, quello dell’Agenzia Nazionale per il Servizi Sanitari Regionali (Agenas), mostra invece che il livello di saturazione delle terapie intensive Covid è ormai oltre il livello di guardia in molte aree. La soglia del 30% di occupazione è quella oltre la quale l’emergenza Covid mette a rischio anche il resto dell’assistenza sanitaria. «Il problema oggi – sostiene il presidente dell’Ordine dei Medici Filippo Anelli – riguarda la tenuta del sistema sanitario, perché l’occupazione progressiva dei posti da parte di malati Covid riduce via via la possibilità di garantire cure agli altri ammalati». Attualmente questo livello è superato in Campania, Lombardia, Liguria, Marche, Piemonte, Alto Adige, Toscana, Umbria e Val D’Aosta, dove arriva a 66%. Nei reparti ordinari, sempre secondo il rapporto Agenas, il livello di occupazione dei posti letto da parte dei pazienti di Covid raggiunge il 59% in Piemonte, il 61% in Liguria e addirittura il 98% in Val D’Aosta, dove tutto il sistema sanitario è impegnato sul fronte della pandemia.

Sono queste percentuali, più che il numero assoluto di casi positivi, a classificare alcune aree tra le zone rosse a più alto rischio. La valutazione del rischio da parte della cabina di regia formata da ministero della Salute e Istituto Superiore di Sanità si basa infatti su ben 21 indicatori. Tra questi, ovviamente figurano la diffusione del virus e il parametro Rt che sintetizza l’evoluzione della pandemia, e per l’appunto il sovraccarico del sistema sanitario in termini di posti letto occupati.

MA I TECNICI ESAMINANO anche altri aspetti. Ad esempio, la capacità di raccogliere dati sui pazienti, di cui troppo spesso non si conosce altro che il risultato del tampone. Oppure, il monitoraggio sui focolai attivi, un dato praticamente irreperibile in tutte le regioni da quando è andato in tilt il tracciamento dei contatti. Anche la rapidità con cui si passa dalla segnalazione del caso al tampone vero e proprio è un indice di tenuta del sistema.

I 21 giudizi nei singoli settori formano la pagella di ciascun territorio, con una valutazione finale che pone il rischio regionale su una scala di 5 livelli compresi tra “molto basso” a “molto alto”. Alla valutazione del rischio corrisponde la classificazione del governo tra zone gialle e rosse, ai cui confini saranno limitati gli ingressi e le uscite.