Secondo una ricerca pubblicata sull’autorevole rivista scientifica Proceedings of national academies of science il Covid-19 si trasmette anche a grande distanza attraverso goccioline e aerosol rendendo inefficace il distanziamento sociale. Il principale autore dello studio è il chimico Mario J. Molina, premio Nobel del 1995 per aver scoperto le cause del buco dell’ozono. Se il risultato della sua ricerca fosse confermato, le strategie di contenimento andrebbero radicalmente riviste in tutto il mondo.

«SIA L’OMS CHE I CENTRI per il controllo e la prevenzione delle malattie (Cdc) hanno ignorato l’importanza della trasmissione aerea», scrivono i ricercatori. «Le attuali misure di contenimento, come il distanziamento sociale, la quarantena e l’isolamento messe in pratica negli Usa non bastano per proteggere la popolazione». Tuttavia, nonostante il prestigio della rivista e dell’autore, molti scienziati sollevano dubbi intorno allo studio. Secondo Don Milton, esperto sulla trasmissione aerea dei virus all’università del Maryland «la trasmissione aerea potrebbe essere dominante, ma a corta distanza. Mascherine, ventilazione, distanziamento sociale e bassa densità sono tutte necessarie». Per dimostrare la sua tesi, Molina osserva che in Italia e negli Usa il rallentamento dell’epidemia è iniziato solo in coincidenza con l’obbligo di portare la mascherina. In Lombardia ciò sarebbe avvenuto il 6 aprile: proprio a partire da quel giorno Molina rileva una diminuzione nel numero dei nuovi casi, che fa attribuire alle mascherine 78 mila contagi in meno solo nel mese di aprile. La stessa analisi varrebbe per la città New York, oggi una delle poche aree degli Usa in cui il virus è sotto controllo.

MA LE MISURE di contenimento non hanno un effetto immediato, come invece sostengono Molina e colleghi: a causa dell’incubazione del tempo necessario al tampone, tra il contagio e la sua rilevazione trascorrono anche due settimane. Per questo gli effetti dei cambiamenti di strategia sui dati dell’epidemia appaiono con un certo ritardo.

INOLTRE, NON SI PUÒ affermare che le mascherine in Italia siano state utilizzate solo a partire da una certa data: la pandemia ha visto succedersi norme spesso contraddittorie che hanno lasciato sola la cittadinanza nella decisione sull’uso dei dispositivi di protezione. Più delle scelte ondivaghe di Fontana e Gallera, ha pesato la disponibilità delle mascherine, a lungo introvabili. «Anche a New York molti indossavano mascherina prima che fosse obbligatorio» ha scritto Linsey Marr, che studia gli effetti dell’inquinamento dell’aria all’università di Virginia Tech. «Gli ordini del governo non generano cambiamenti istantanei nei comportamenti».

INFINE, LA SEMPLICE coincidenza tra l’andamento di una curva epidemica e altri fenomeni non basta per inferire un legame di causa e effetto tra loro. «Correlation is not causation» è uno motto assai diffuso tra chi analizza come lavorano gli scienziati. Eppure, ricerche anche autorevoli cadono spesso in questo errore.

LA RICERCA PUBBLICATA da Molina sui «Proceedings» potrebbe rientrare in questa categoria. Non sarebbe la prima volta, in questo periodo convulso. Appena una settimana fa, un’altra rivista autorevole come Lancet aveva ritirato uno studio che demoliva l’efficacia dell’idrossiclorochina (spingendo l’Oms a fermare le sperimentazioni) perché i dati erano probabilmente manipolati. La grande pressione sulla comunità scientifica sta spingendo gli studiosi verso ricerche talvolta affrettate e le riviste più autorevoli a pubblicarle senza un’adeguata valutazione.