Luigi Di Maio innesta la retromarcia, rinuncia a ogni ambizione da vicepremier e cerca di cambiare il segno politico alla consultazione sulla piattaforma Rousseau che si apre oggi dalle 9 alle 18. Il quesito sul quale si esprimeranno gli iscritti al sito gestito da Davide Casaleggio pare semplice ma conferma le paure di molti parlamentari grillini. È un testo ambivalente, controverso, divisivo. «Sei d’accordo che il Movimento 5 Stelle faccia partire un governo, insieme al Partito democratico, presieduto da Giuseppe Conte?», recita il testo. Che si caratterizza per due elementi. Il primo: si cita espressamente il Pd. Il secondo: mette ai voti direttamente il ruolo di Conte.

Non era accaduto 15 mesi fa, quando si era trattato di mettere ai voti il contratto di governo che impegnava la maggioranza gialloverde: non si menzionava né la Lega né il nome del presidente del consiglio. Questi due fattori sembrano definire una consultazione ad alto rischio. Intanto perché non è esattamente un brand che tira, quello del Pd, presso gli attivisti grillini. Un voto negativo potrebbe sconfessare gli impegni presi dai vertici 5S con Mattarella e Conte. Al tempo stesso, osservano molti grillini, il dispositivo mette Giuseppe Conte nelle condizioni di prendere pieni poteri: se i voti favorevoli all’accordo dovessero prevalere ci sarebbero pochi dubbi sull’investitura ricevuta dal presidente del consiglio proprio nel tempio virtuale della democrazia diretta made in Casaleggio.

Questi sono i calcoli politici che vengono fatti per tutta la giornata che precede l’apertura delle urne digitali. Sono ore, peraltro, caratterizzate da una lunga sequenza di inviti al voto da parte di numerosi parlamentari. Non era mai successo, neanche in occasione della sofferta negazione dell’autorizzazione a procedere nei confronti di Salvini per il caso Diciotti, che così tanti eletti M5S prendessero parola pubblicamente, esponessero le loro ragioni, dessero conto della situazione ai 100 mila iscritti alla piattaforma Rousseau che hanno la possibilità di dare fiducia al governo: quasi tutti, escluso Gianluigi Paragone e pochi altri, invitano a votare sì. Anche Paola Taverna, che fino a pochi giorni fa era data contraria.

Di quanto questo voto riguardi la sua persona, si accorge anche Giuseppe Conte, che prima delle 19 diffonde un video appello diretto soprattutto ai grillini: «Non lasciate i vostri sogni nel cassetto», dice il presidente incaricato. Lo segue a ruota Di Maio, che abbandona la consueta diretta streaming per diffondere un video registrato, a testimonianza della solennità del momento. Di Maio rivendica il suo ruolo di «capo politico» del Movimento e quindi di guardiano dei voti espressi un anno e mezzo fa dagli elettori 5S e cerca di uscire dall’angolo in cui si era cacciato definendo Conte un presidente «super partes», cioè non diretta espressione del M5S. Ne consegue che occorre vigilare affinché il programma sul quale giura di aver investito tutte le sue energie nei giorni scorsi venga messo in pratica.

Dal momento in cui il Pd ha rinunciato ad avere un vicepremier cade per Di Maio l’esigenza del M5S di rivendicare quella postazione. Di Maio non invita esplicitamente a votare sì all’accordo di governo. Anzi, sostiene che «non c’è un voto giusto o un voto sbagliato, c’è la somma delle vostre idee che indirizzerà il M5S». È un modo per non apparire sconfitto e al tempo stesso smarcare sé stesso, e il M5S, da una sovrapposizione eccessiva e un impegno troppo vincolante con Conte, la persona che oggi potrebbe venire incoronata su Rousseau come presidente del consiglio.

La versione di Di Maio indebolisce un po’ il governo che nei prossimi giorni potrebbe ottenere la fiducia, lo riconsegna paradossalmente più ai giochi dei rapporti di maggioranza che alle promesse della democrazia diretta digitale. È un tentato compromesso tra le aspirazioni personali e la realpolitik, tra le spinte dei parlamentari e i dubbi di Casaleggio e Di Battista (che ieri ha rifiutato di dire come voterà), tra le pressioni di Grillo a rinnovare la sua creatura e i rapporti di potere che in questi anni il M5S ha costruito, anche al suo interno.