Quando qualcuno gli ha fatto notare che forse, di fronte all’ennesima bocciatura del parlamento, avrebbe potuto fare il bel gesto di ritirare la sua candidatura (come del resto hanno fatto più rapidamente altri candidati bocciati di centrodestra), Luciano Violante ha risposto – così riportavano le indiscrezioni – che non avrebbe fatto alcun passo indietro. Avrebbe dovuto pensarci Renzi a scaricarlo. Tutto questo accadeva almeno una decina di scrutini fa, nel frattempo siamo arrivati al diciannovesimo tentativo di eleggere i due giudici per la Corte Costituzionale. Le camere si riuniranno ancora oggi alle 13 in seduta comune, avendo fallito di nuovo nella seduta di ieri. E il Pd fa sapere di voler insistere con Violante.

Il problema in cui si è infilato Renzi, a questo punto, è quello di un candidato troppo esposto per consentirgli di trovare una via d’uscita onorevole. Sono molti anni che Violante aspira alla Consulta. Questa doveva sembrargli la volta buona: a bloccarlo non è l’ostilità di Berlusconi, che ha apprezzato l’evoluzione dell’ex «capo delle toghe rosse» in fustigatore dei difetti della magistratura. Ci sono invece le divisioni interne a Forza Italia e gli avversari del patto del Nazareno, anche dentro il Pd. Senza contare che nel voto segreto anche alcuni renziani della prima ora hanno dimostrato di non stravedere per uno come Violante che proviene dall’area dalemiana. Tanto che nelle prime settimane si sospettava di un raffinato piano di Renzi che puntava a far cadere in aula Violante, per poter lanciare candidati a lui più affini. Se un piano del genere c’è stato, di certo oggi il caso Violante è diventato un problema per il presidente del Consiglio, che anche cambiando finalmente cavallo non avrebbe più alcuna garanzia di tenuta nei gruppi parlamentari: sarebbero gli amici di Violante a vendicarsi. Anche perché la carta di riserva è diventata inservibile: è vero infatti che ormai tra pochi giorni il presidente della Repubblica dovrà procedere alla nomina diretta di altri due giudici costituzionali, ed è vero anche che la sua stima per Violante è indiscutibile, avendolo il presidente scelto nel gruppo ristretto di saggi che insediò al Quirinale come primo atto della nuova legislatura. Ma a questo punto Napolitano non può indicare a cuor leggero un candidato che il parlamento ha così clamorosamente e ripetutamente rifiutato, rischierebbe di dare l’impressione di un’imposizione.

E così nell’impasse il Pd scarica le responsabilità su Forza Italia, che dopo aver bruciato tre candidati non riesce a indicarne un quarto. Mentre nello spoglio di ieri spuntano un centinaio di voti per Grasso, che i leghisti dichiarano pubblicamente di vedere bene lontano dalla presidenza del senato. Non solo loro, dal momento che l’ex magistrato non è popolarissimo a palazzo Madama: giusto ieri è stato duramente contestato per aver sanzionato con la sospensione il capogruppo della Lega (5 giorni) e del M5s (1 giorno), cioè i leader d’aula di due partiti d’opposizione (il terzo, Sel, ha votato contro le sanzioni). Ma Grasso non ha alcuna intenzione di cadere nel tranello, e così chiude il discorso: «I voti espressi per me alla Corte Costituzionale sono a metà tra la provocazione e lo scherzo, la Consulta non merita né l’una né l’altro».