Il rinvio di una settimana prelude alla soluzione del caso Consulta. Da un anno, quattro mesi e venti giorni il parlamento deve eleggere un giudice costituzionale, e nel frattempo i posti da coprire sono diventati tre. La Corte procede a ranghi ridotti, le frequenti assenze di un quarto giudice la portano alla soglia del minimo legale: 11 giudici su 15. Al Pd serve un’altra settimana di lavoro sul dossier. Ieri ha chiesto e ottenuto che fosse sconvocata la seduta comune della camere prevista oggi. Tutto rinviato al 25 novembre, dovrebbe essere il giorno giusto. Se non per tutti e tre i giudici, almeno per due.
Il giudice che da più tempo va sostituito è Mazzella, cessato il 28 giugno 2014. La prassi vuole che la casella resti riservata alla parte politica che lo aveva indicato, Forza Italia. Ma Forza Italia è nelle stessa condizione dell’anno scorso – quando nel voto segreto impallinò di fila quattro suoi candidati – se non peggio. Aspettando l’impossibile ricomposizione dei pochi berlusconiani rimasti, il Pd è arrivato alla soglia del record di giorni di latitanza, mentre è già stato superato il record di votazioni a vuoto (la prossima sarà la 27esima). Anche per questo alcuni radicali stanno facendo lo sciopero della fame, da cinque giorni. Il Pd sperava di trovare un accordo per consegnare un giudice a Forza Italia e tenerne due per sé. E in effetti vanno sostituiti Mattarella e Napolitano, eletti in quota centrosinistra. Ma in parlamento c’è la «terza forza» Movimento 5 Stelle, l’unica che ha presentato da tempo i suoi candidati. E così Renzi ieri ha visto i capigruppo Rosato e Zanda e ha dato via libera all’intesa con i grillini: entro lunedì il Pd offrirà il suo nome perché i 5 stelle possano sottoporlo al gradimento online degli iscritti (quelli certificati da Casaleggio). Questo nome dovrebbe essere quello di Augusto Barbera. In alternativa c’è Massimo Luciani. Entrambi sono costituzionalisti che hanno difeso la riforma Renzi-Boschi (Luciani con qualche moderato distinguo).

Per eleggere ogni giudice serve il consenso dei tre quinti dell’assemblea di senatori e deputati, 571 voti; l’accordo è indispensabile. I grillini hanno avvertito che non accetteranno politici «di professione». Barbera ha trascorsi parlamentari persino più lontani di quelli del candidato 5 stelle che fin qui ha raccolto il maggior numero di consensi nelle votazioni in aula, Felice Besostri. Gli altri sono i costituzionalisti Silvia Niccolai e Franco Modugno. Anche il Pd vorrà scegliere in quella lista; Besostri è l’autore della maggior parte dei ricorsi in tribunale contro la nuova legge elettorale. Sui quali, eventualmente, dovrà giudicare proprio la Consulta. Ma, ha detto più volte Besostri, non c’è conflitto d’interessi. Tanto che l’attuale presidente della Repubblica Mattarella, da poco nominato giudice costituzionale, si trovò a decidere sulla legge «Porcellum» che aveva cancellato il suo «Mattarellum».
E proprio sul fronte dei ricorsi contro l’Italicum arriva da Milano il primo aggiornamento. Ieri la giudice monocratica della prima sezione civile Martina Flamini ha tenuto la prima udienza, in questo caso la citazione è firmata dagli avvocati Bozzi, Zecca e Tani (che con Besostri avevano ottenuto la vittoria contro il Porcellum). La citazione milanese è più avanti della altre, perché presentata prima di quelle coordinate a novembre in tutta Italia dal Coordinamento per la democrazia costituzionale (porta la data del 22 giugno). Il 21 gennaio ci sarà la prossima camera di consiglio, allora la giudice potrebbe già decidere di rimettere la questione di incostituzionalità alla Consulta.

A Milano soprattutto si è già potuta ascoltare la voce del governo, intervenuto ieri in udienza rappresentato dall’avvocata dello stato Maria Gabriella Vanadia. Gli avvocati ricorrenti hanno esposto sei profili di sospetta incostituzionalità dell’Italicum – dalla mancanza di soglia per il premio al ballottaggio ai capilista bloccati e pluricandidati, dal rischio che vengano eletti più dei 630 deputati previsti in Costituzione alla violazione dell’articolo 72 nella procedura di approvazione. La presidenza del Consiglio e il ministero dell’interno hanno risposto sostenendo che i ricorrenti non sono legittimati in quanto «manca l’interesse concreto attuale». E questo perché l’Italicum è una legge regolarmente promulgata e in vigore, ma congelata negli effetti fino al luglio 2016.
Argomento che ne sottintende un altro: anche per il governo Renzi l’eventuale incostituzionalità dell’Italicum non può essere sanzionata prima che la legge elettorale venga utilizzata concretamente alle elezioni, anche a rischio di eleggere ancora il parlamento con le regole truccate. Una «consuetudine costituzionale», sostengono i ricorrenti, che sta già creando tanti problemi con il Porcellum.