Gran parte del tempo concesso alla maggioranza perché riuscisse a trovare una soluzione alla mancata elezione dei giudici costituzionali, che si trascina da quasi 18 mesi, è trascorso invano; lunedì pomeriggio camera e senato tornano a votare in seduta comune e la prospettiva è quella di un ennesima fumata nera, la trentesima. A conferma del fatto che senza un cambio di strategia che comporti la rinuncia di Renzi a precostituirsi una Corte a misura delle sue riforme, per evitare rischi di sentenze contrarie soprattutto sulla nuova legge elettorale, il parlamento non troverà una via d’uscita. E dovrà affidarsi al semi-conclave deciso dai presidenti Grasso e Boldrini, che hanno annunciato la convocazione continua degli scrutini ogni sera alle 19 da martedì prossimo, se anche lunedì si finisse con un nulla di fatto.

E non si tratta neanche della minaccia più grave, visto che il presidente della Repubblica, che il 20 ottobre aveva lanciato il suo ultimo appello pubblico alle camere perché eleggessero finalmente i tre giudici costituzionali che mancano, tacendo poi malgrado tre successive votazioni andate a vuoto (dal Quirinale erano filtrate sui giornali solo alcune banali indiscrezioni riguardo la delusione del capo dello stato), ieri è tornato a pronunciarsi sull’argomento. L’ha fatto nella coda di una lunga intervista al Messaggero. «Ogni passaggio a vuoto del parlamento incide negativamente sulla sua autorevolezza e sulla valutazione della sua capacità di funzionamento», ha detto Sergio Mattarella. Parole pesanti, visto che l’inerzia delle camere – soprattutto nell’applicazione di precisi obblighi costituzionali, com’è il caso dell’elezione dei giudici – è una delle poche cause di scioglimento che mettono d’accordo i costituzionalisti. Il potere di scioglimento com’è noto è proprio del capo dello stato.
Naturalmente Mattarella non arriverà a questo, ma le sue parole indicano che ormai il problema dell’elezione dei giudici è diventato il più urgente dell’agenda politica. Anche perché è stato assai trascurato nei mesi scorsi da un presidente del Consiglio che immagina di poter fare come per le «sue» riforme, piegando alfine le resistenze, nonché dai presidenti delle camere che avrebbero potuto convocare le sedute comuni in anticipo rispetto alle scadenze (come avviene per i giudici indicati dal presidente della Repubblica, che vengono scelti in anticipo dal capo dello stato così da evitare buchi nel plenum della Corte).

Forza Italia non ha ancora trovato un’alternativa al deputato Sisto (che giusto ieri in perfetta armonia con un collega Pd ha licenziato il testo base della legge sul conflitto di interessi). Il partito di Berlusconi può incaponirsi anche perché il Pd renziano non intende mollare il candidato Barbera, anche lui già bocciato in tre scrutini di seguito. L’unica novità dell’ultima votazione era stata la candidata dell’Ncd Nicotra, che però è stata subito gelata da un numero molto basso di consensi. Alla maggioranza renziana non basta allargare l’accordo a Forza Italia, nel voto segreto nessuna imposizione può passare su gruppi profondamente divisi. L’unica strada per il Pd è quella di coinvolgere Sinistra italiana e M5S. I grillini sembrano pronti a svoltare ancora e accettare Barbera, a patto però che Renzi rinunci all’asse con quel che resta di Forza Italia.