Un altro buco nell’acqua, un’altra decisione di insistere. Il Pd non riesce a eleggere Augusto Barbera come 13 giudice costituzionale. Manca da un anno e cinque mesi. I democratici si consolano con il fatto che in una settimana il costituzionalista renziano ha guadagnato nove voti, restando però 26 voti sotto la soglia minima per guadagnare la Consulta. Nascondono l’ennesima fumata nera parlandosi addosso: grande fiducia in Barbera, «il candidato giusto». Insisteranno con lui ancora stasera, quando le camere riunite faranno il 29esimo tentativo di ricomporre il plenum della Corte, alla quale mancano in tutto tre giudici. La terna che doveva sigillare l’accordo tra la maggioranza e Forza Italia, escludendo solo M5S e Sinistra italiana, ha però già perso un pezzo, il candidato dei centristi Giovanni Pitruzzella. Affondato da una vecchia inchiesta catanese non ancora chiusa, il presidente dell’Antitrust ieri è stato l’unico a scendere nel pallottoliere; ha perso 22 voti e si è ritirato. «Anche a tutela dell’Istituzione che presiedo», gli è sovvenuto.

Saltata una tessera, ballano anche le altre del mosaico renziano. Balla Francesco Paolo Sisto, il candidato di Forza Italia che ieri ha raccolto 16 voti in più rispetto al debutto della settimana scorsa, ma che resta lontanissimo dai 571 voti necessari per essere eletto. Si aggrappa Barbera, al quale potrebbero essere andati anche i voti dei 28 parlamentari leghisti, che ufficialmente hanno votato scheda bianca. La voce di corridoio, riferita ieri dal Corriere, racconta di una trattativa per far eleggere dal Pd un componente del Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa gradito ai leghisti. Trattativa smentita dal Carroccio, ma all’apertura delle urne si sono contate 25 schede bianche in meno rispetto all’ultimo scrutinio. Se Barbera ha guadagnato qualche voto leghista, vuol dire che ne ha persi altri nel Pd. In effetti il candidato del Movimento 5 Stelle Franco Modugno ha guadagnato 16 voti, e contemporaneamente il candidato dei centristi in dissenso dalla maggioranza, Gaetano Piepoli, è cresciuto di 26 voti.
Al Pd, così, la prova di forza non è riuscita. Il richiamo alla disciplina di partito neanche, sterilizzato dal voto segreto. Sono calati i voti dispersi, ma sono diminuiti anche i parlamentari votanti. Nel silenzio del capo dello stato, che è intervenuto per richiamare le camere all’adempimento del loro dovere solo in un momento di stasi delle votazioni, sembra che un cambiamento di schema sia indispensabile per arrivare a una soluzione. L’addio di Pitruzzella può favorirlo, a meno che il Pd non pensi di sostituire un centrista con l’altro, imbarcando Piepoli.

Una concessione sul campo che Renzi non è disponibile a fare per il prescelto grillino. «Non possono imporci il nostro candidato», ripetono dal Pd. Pur essendo Franco Monaco un costituzionalista stimato e assolutamente accettato dai democratici. I renziani hanno apprezzato il silenzio assoluto del professore sulle riforme del governo, Italicum compreso. L’intera partita è infatti leggibile alla luce delle prossime decisioni che dovrà prendere la Consulta, sulla legge elettorale e magari anche sulla legge di revisione costituzionale. Il governo non vuole rischiare sentenze negative. «Si va avanti con Barbera», ha promesso la voce ufficiale del gruppone democratico, prima ancora che fosse formalizzata la fumata nera.
«Fuori uno, ma non basta», è stato invece il commento dei 5 Stelle fermi sulla riva del fiume. Il silenzio di Mattarella è un aiuto a Renzi e non potrà durare in eterno. Se Barbera dovesse logorarsi ancora si imporrebbe un cambio di candidatura. Per il momento è ancora stallo e Sinistra italiana, che fin qui non ha votato per il candidato dei grillini Modugno, ha provato a fare quattro (ottimi) nomi – Silvia Niccolai, Giuditta Brunelli, Federico Sorrentino, Mario Dogliani – nel tentativo assai difficile di trovare un varco.