All’apparenza la desolazione regna sulla Marsiglia calcistica, con L’Olympique in crisi nera: sconfitto venerdì scorso in casa 5 – 2 dal Rennes, il team biancazzurro è dodicesimo in classifica, tre punti sopra chi oggi retrocederebbe. E a fine anno cederà tutti i giocatori più interessanti per far fronte ai buchi di bilancio. A ben guardare, però, c’è un’altra Marsiglia. Che festeggia, tifa e spera.
È la storia del Consolat, una di quelle favole di periferia di cui ci si innamora a prima vista. Fondato nel 1964 nell’omonima «cité du nord», dunque nel cuore dei quartieri esclusi dalla Marsiglia post capitale della cultura, il club non era mai stato in alto come ora. È secondo in classifica in terza divisione nazionale a un solo punto dalla capolista Strasburgo. Sempre venerdì, mentre gli strapagati dell’OM soccombevano al Vélodrome, è andato a vincere uno scontro diretto a Luçon e rischia seriamente di approdare alla Ligue 2, corrispondente della nostra serie B. Se mai dovesse accadere, e se il crollo verticale dei cugini dovesse proseguire, si andrebbe addirittura, nel prossimo campionato, al primo derby tra pari categoria che la città ricordi. Fantascientifico, ma non troppo.

La cité è piccola, appena 4.500 abitanti. Ma compatta e combattiva, con una storia sociale che ricorda quella del mito tedesco del St. Pauli. Già il sito ufficiale del club suona al limite del militante: «nel nostro quartiere le vecchie famiglie marsigliesi convivono con quelle giunte da altri orizzonti». E spazza via i cliché delle banlieue: «il segreto dell’armonia in una zona circondata dalla dittatura della droga è duplice. Il locale centro sociale ha un ruolo cruciale nell’integrare chi proviene dalla migrazione, e poi c’è il nostro gruppo sportivo, che ha dedicato il proprio stadio privato a uno dei suoi figli, José Anigo, la cui famiglia vive ancora al Consolat». Ex colonna dell’OM, Anigo oggi ha 54 anni e allena in Tunisia.

La tavolozza di provenienze geografiche si riflette sull’organico. Il club schiera molti ragazzi cresciuti nelle proprie fila. Su 25 giocatori, cinque sono delle Comore, altri del Marocco, algerini, ivoriani. Ma a sfogliare nomi e foto, anche la maggioranza dei passaporti francesi ha radici africane. Il più conosciuto è David Gigliotti, trentenne attaccante e leader in campo, origine argentina e trascorsi anche nel Monaco. Venerdì a Luçon all’80’ ha lasciato posto e consigli a Mathieu Manset, che due minuti dopo ha risolto il match. Un balsamo per Nicolas Usaï, l’allenatore della squadra che appena dieci anni fa giocava con la stessa maglia in difesa.

A proposito di maglia e simboli, tutto torna a meraviglia: la casacca è verde con una croce gialla, («come a far convivere Islam e Cristianesimo», ci spiega un tifoso), mentre sullo stemma, nella forma simile a quello del Barcellona, campeggiano la bandiera greca, in onore dei fondatori di Marsiglia, e il giallorosso di Provenza.

Gli ingredienti per suscitare il culto nel quartiere alternativo della Plaine, cuore della resistenza al massacro urbanistico e sociale del progetto Euroméditaranée, ci sono tutti. Conditi da qualche dichiarazione colorita del presidente del club, Jean-Luc Mingallon. Cose tipo: «la nostra povertà è la nostra ricchezza, siamo i comunisti del pallone». Rinforzati, per reazione, da un’informazione faziosa, che per anni ha teso a screditare l’équipe del nord città, accusandola di gioco violento e intimidatorio, in linea con il trattamento spesso vergognoso riservato a certe periferie. Anche giovani legati a gruppi storici dell’OM, dalla Chourmo a Marseille Trop Puissant, per citare due realtà notoriamente antirazziste che gravitano alla Plaine, guardano oggi con interesse al Consolat. Che il 15 aprile riceverà lo Strasburgo per quello che si annuncia come un mezzo spareggio per la Ligue 2.