Il claim di Cheese 2021 è una sorta di appello: «Considera gli animali». Un invito a osservare, riflettere, mettersi nei panni di, anzi negli zoccoli degli animali che per millenni ci hanno coperto e riscaldato con la loro lana, nutrito con il loro latte e con la loro stessa carne. Apparteniamo al medesimo regno, siamo animali anche noi, ma il mondo contemporaneo ci ha separati. Ci è rimasto il rapporto con gli animali da compagnia, che abbiamo umanizzato e inserito nel circuito consumistico che ha travolto le nostre vite, proiettando su di loro esigenze estranee, al punto che cresce in modo esponenziale il mercato degli accessori di lusso per gli animali: collari di strass, cappottini firmati, passeggini, poltrone, cosmetici, cibo in scatola gourmet.

Gli altri animali domestici sono lontani dalla nostra vista. Trasformati in mezzi di produzione. Specializzati nella fornitura di latte, carne o uova. Chiusi in capannoni che scorgiamo di lontano, ma di cui nessuno di noi varca mai la soglia. Valutati con gli stessi parametri applicati alle macchine: efficienza energetica, capacità produttiva, velocità. A noi consumatori finali, quel che interessa, è la merce, l’oggetto del consumo: il latte, la carne, le uova. Difficilmente riflettiamo sull’essere vivente che c’è dietro, quasi mai ci chiediamo dove e come abbia vissuto. Non sappiamo, ad esempio, che il latte del nostro cappuccino proviene da un’unica razza, la frisona, progettata per produrre 50, addirittura 60 litri di latte al giorno: una vacca destinata a vivere poco più di 3 o 4 anni, in un capannone, inseminata artificialmente e costantemente gravida. Un animale che non può allevare i suoi piccoli, sottratti a poche ore dalla nascita e trasferiti in una gabbietta singola per le settimane successive.
Esistono anche gli animali al pascolo, è vero, ma sono sempre più rari: negli ultimi 40 anni, il nostro paese ha perso la stragrande maggioranza dei pastori. Un dato strettamente legato a quello sulla montagna: nello stesso periodo, la popolazione agricola delle Alpi si è ridotta del 40% e metà delle aziende attive all’inizio degli anni ’80 è stata chiusa. Nessuna politica territoriale ha favorito il ricambio generazionale (compensato solo in parte dall’impiego di migranti), né ha gestito i problemi più gravi della pastorizia: l’isolamento, la convivenza delle greggi con gli animali selvatici, l’accesso ai pascoli, spesso assegnati, solo sulla carta, a grandi allevatori di pianura interessati a riscuotere contributi europei. Così il processo di concentrazione continua: le malghe vengono abbandonate e le aziende dei piccoli allevatori chiudono, a vantaggio di stalle sempre più grandi.

L’età contemporanea non ha soltanto allontanato gli esseri umani dagli animali allevati, ma ha anche separato uomini e animali allevati dalla terra: gli uni rinchiusi in tanti contenitori (appartamenti, automobili, uffici, fabbriche); gli altri prigionieri di una stalla. Ci voleva un cortocircuito globale, ambientale e sanitario, per ricordarci che non siamo i padroni della natura, ma che ne facciamo parte, come gli altri esseri viventi, e che siamo forse il pezzo più fragile. Il virus che ha stravolto le nostre vite non è un incidente isolato. Il 60% delle malattie infettive degli ultimi anni ha origine negli animali, soprattutto selvatici. Il Covid è uno di questi, ma sono di origine zoonotica anche l’Ebola, l’Aids, la Sars, l’influenza aviaria. La zootecnia industriale, legata a doppio filo all’agricoltura intensiva (necessaria per produrre i mangimi) ha una responsabilità enorme. Quando erodiamo la biodiversità di un ecosistema, distruggiamo dei cuscinetti che ci proteggono e i virus passano più facilmente dagli animali selvatici a quelli allevati e poi agli esseri umani.

Cheese 2021 è una buona occasione per ripensare il nostro rapporto con gli animali, per riflettere sul fatto che abbiamo bisogno di loro: per vivere bene in questo mondo, per conservare territori e pascoli, per produrre cibi nutrienti e salubri, per ritrovare umanità. Tratteremo questo tema coinvolgendo produttori, tecnici, appassionati, ma anche i visitatori presenti. E faremo questa riflessione partendo da alcuni punti fermi maturati in vent’anni di lavoro sui territori. Il primo: l’allevamento del futuro non potrà essere intensivo, per ragioni etiche, ambientali, economiche. Il secondo: un allevamento di qualità ha bisogno di un’agricoltura di qualità, di un territorio sano, di prati, pascoli, suoli fertili.
Racconteremo esperienze virtuose, storie straordinarie di giovani casare e casari che si prendono cura di pascoli, boschi, borghi di montagna, di produttori che hanno reintrodotto prati spontanei ricchi di biodiversità nelle terre più urbanizzate della pianura padana, di allevatori che mettono al centro dell’attenzione il rispetto per gli animali. Tante storie di resistenza, accomunate dal desiderio di ripartire, con umiltà, dalla nostra Terra Madre.